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Gli anni della dating fatigue13 min read

Gli anni della dating fatigue

Barcamenarsi tra relazioni superficiali, app di dating e legami online può essere molto faticoso.

di Lucia Antista

La fatica dei numeri primi, di chi si ritrova slegato e provato nel mare magnum degli incontri online, adesso ha un nome, si chiama dating fatigue.
Il termine è stato introdotto da Judith Duportail, l’autrice di “Dating fatigue. Amours et solitudes dans les années (20)20”. Secondo lei è la versione del XXI secolo della malinconia amorosa e definisce la solitudine dei (20)20 come “un vagare tra vaghi rapporti”.

La scrittrice francese si interroga sulla possibilità di instaurare relazioni stabili, in un’epoca caratterizzata dalla decostruzione della coppia e da un moltiplicarsi di ingiunzioni contraddittorie all’interno della sfera sentimentale.
La grande libertà e le molte possibilità relazionali sono sia un’opportunità sia un rischio perché la libertà senza intenzione, senza coscienza, senza sforzo collettivo, sfocia nel caos.

Spinoza aveva parlato di epoca delle passioni tristi, sicuramente possiamo includervi il vuoto della moltitudine.
Molte opzioni, molte uscite, molte etichette per sentirsi comunque in un circolo fatuo.
In questo scenario di incertezza e smarrimento c’è chi parla addirittura di burn-out sentimentale come esaurimento emotivo, imputabile a un coacervo di delusioni.
I sintomi della dating fatigue riguardano noia, rassegnazione, pigrizia, tristezza, frustrazione.

Sarà capitato a tutti in prima persona, o attraverso l’esperienza di un conoscente o un’amica di sentire parlare di  affaticamento e sconcerto a proposito del dating online.
A differenza della vita reale, le app di dating aumentano nettamente le possibilità di interagire con un numero più ampio e variegato di persone, con tutti i risvolti positivi e negativi del caso.
Al netto di tutte le conseguenze positive di cui nessuno certamente si lamenterebbe, basta pensare a quelle negative per comprendere perché possa essere più sfiancante della vita offline.
Molte più chat, molti più incontri, si possono tradurre con esito negativo, ossia molti più problemi e molte più disillusioni da smaltire.

Un’altra opera particolarmente interessante è quella dell’artista Sebastian SchmiegI Will Say Whatever You Want In Front Of A Pizza, un video-loop che sfrutta la tecnologia di un servizio di slideshow per raccontare il digital labor come un’esperienza che trasforma l’uomo in estensione del software, ribaltando il luogo comune che vorrebbe la dinamica invertita. Il video racconta l’esperienza di un cloud worker qualunque: dal camuffamento in chatbot per l’ordinazione di pizze online al tagging di oggetti per MTurk e la creazione di loghi su Fiverr, lavori eseguiti nell’anonimato, regolati da algoritmi ciechi a imprevisti e orari lavorativi, senza possibilità di realizzare forme socializzazione e sindacalizzazione dal basso.

L’espressione “Dating fatigue” è stata introdotto da Judith Duportail, l’autrice di Dating fatigue. Amours et solitudes dans les années (20)20. Secondo lei è la versione del XXI secolo della malinconia amorosa e definisce la solitudine dei (20)20 come “un vagare tra vaghi rapporti”.

Se durante una settimana un utente su Tinder raccoglie per lo più spiacevoli conversazioni, appuntamenti andati male, magari ricevendo un trattamento poco consono, sarà un po’ più frustrato rispetto agli incontri tradizionali.
Questo perché, eccezion fatta per i Barney Stinson, nessuno colleziona così tante avventure semplicemente andando al bar e il numero più basso di interazioni e appuntamenti talvolta ci protegge da alcune insoddisfazioni, o ci permette quanto meno di calibrarci sui nostri bisogni: non abbiamo voglia di uscire? non lo facciamo e non avremo interazioni di quel tipo. Un’app sul telefono è comodamente consultabile e ci consente molto meno di staccare e mettere in pausa la nostra vita sentimentale.

È un meccanismo simile a quello che si innesca nella mente di chi apre la casella mail in spiaggia, alcuni studi parlano di 100 volte al giorno, il lavoratore lo fa semplicemente perché può farlo. Nessuno avrebbe guidato per 500 e passa km per ritirare la posta ma basta un semplice clic per ritrovarsi di nuovo invischiati nella vita d’ufficio.

Analogamente basta dimenticarsi di nascondere il profilo per ricevere messaggi e possibili inviti che ci porranno di fronte a una nuova sfida, anche se siamo in pigiama con un bicchiere di Pinot grigio a lamentarci dell’ultimo caso umano in una chat di gruppo.

Della stessa autrice:

È colpa anche della FOMO che collegata alle app per gli incontri diventa multiforme: è quell’ansia di aver lasciato perdere un profilo poco convincente troppo presto, il timore che i messaggi trascurati siano delle opportunità mancate, che potenziali partner ideali siano persi per sempre perché non hai visualizzato/interagito prontamente e brillantemente. 

Conversazioni piacevoli e potenziali feeling persi nel passaggio a Instagram o Whatsapp perché nessuno ha fatto quello che andava fatto, chiedere di uscire.
Riguardo alle interazioni online l’onesta ma brutale verità è che il più delle volte si gioca tutto in poche battute, se non colpisci nel segno qualcun altro lo farà al posto tuo. In poche parole meglio di te e ciò può andare a intaccare pesantemente l’ego delle persone.

La FOMO, in questo caso e in generale nella nostra epoca digitale, è la fobia di non capitalizzare la ricchezza di potenziali opportunità. Quella che spinge a uno swipe compulsivo, a mollare se non c’è il feeling giusto e cercare un altro profilo più adatto e migliore.

A differenza della vita reale, le app di dating aumentano nettamente le possibilità di interagire con un numero più ampio e variegato di persone, con tutti i risvolti positivi e negativi del caso.

Ma è anche uscire con più persone anche se non lo si desidera fortemente seguendo mantra come “tutti fanno così”, “meglio non focalizzarsi che se poi va male” etc.

Ciò che corrisponde al nostro desiderio è giusto ma ciò che è indotto da assiomi generici può essere sviante.
Non a caso Once propone ai suoi utenti un solo match al giorno per limitare il rischio di effetto uso e getta del dating online.
Una filosofia in controtendenza che suggerisce di concentrarsi di più sul “qui e ora”, evitando la deriva consumistica dell’essere sempre rivolti verso il tentacolare mondo delle altre possibilità. 

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Il problema è che saliti sulla giostra è difficile resistere ai luccichii e i richiami, gira e tu giri con lei ed è così che si finisce per adottare un codice esistenziale che non sempre si condivide.
Il continuare a provare, perché sicuramente anche l’altro starà sentendo o uscendo con altre persone, rischia di porci in una doppia competitività quella con il nostro match e quella con i nostri potenziali competitor.
È colpa dell’istanza di godimento, tanto per scomodare il filosofo Slavoj Žižek.

La coazione a godere, derivata dal concetto lacaniano del grande Altro, o, in altre parole, dal Super-io di Freud. Il Super-Io nella teoria psicoanalitica tradizionale è un esempio di moralizzatore, di istanza al divieto. Per Lacan, il grande Altro appartiene al regno simbolico, delle regole.
Nella società post-moderna, però, a causa del fallimento dell’ordine simbolico, questa logica viene ribaltata, e il Super-io non ha più la funzione di sopprimere il desiderio e di innescare il senso di colpa o della vergogna ma al contrario suggerisce invece di ricercare il piacere e vieta di fatto il non godere.

I reel ironici e i racconti di vita su TikTok fatti da uomini e donne di diverse fasce d’età si concentrano sulle assurdità che emergono nell’uscire con qualcuno o nel provare ad avere una relazione oggi.
Con l’aumento dei legami provvisori flirt, trombamicizia, il sesso occasionale, avere una relazione “normale” è indie.

Oggi giovani e meno giovani possono esperire tutte le sfumature dello stare e non stare insieme ma sono modalità che non calzano per tutti o che non possono adattarsi a ogni periodo della vita di ciascuno.
Al di là delle etichette, dei personali desideri e la loro applicazione, le relazioni prive, o quasi, di qualsiasi coinvolgimento personale, sono impregnate di una forma di edonismo autotelico.
Relazionarsi con qualcuno, a partire proprio dall’etimologia, è proprio questo, creare un legame, se non c’è uno scambio rischia di essere un vuoto a rendere.

A portare un certo affaticamento, nel dating online, ma molto più spesso, nelle frequentazioni odierne, è la miriade di sfumature che nel bene e nel male, ogni storia può assumere.
Dick-pic, escandescenze ingiustificate, sparizioni, possono rendere il terreno di gioco piuttosto duro, anche se si tratta di quello virtuale.
Come quelle che la giornalista francese chiama le “inciviltà affettive” (orbiting, ghosting, breadcrumbing…) che rischiano di renderci tutti molto meno umani.

Per non parlare di quanto effettivamente il dating sia diventato come un lavoro e non a caso internet pullula di guru pronti a fornire strategie e consigli.
Affidarsi al destino forse porta meno possibilità ma anche meno stress, passare ore tra swipe, conversazioni e appuntamenti di persona (non sempre agevoli o piacevoli) richiede molto tempo e molta pazienza.
La prima fase di approccio (ma non dimentichiamo che condividiamo molto tramite i social e le app di messaggistica) è tutta virtuale.
Non tutti hanno una grande dimestichezza con questa modalità di interazione ma una chat è come una partita di tennis: è meglio essere allo stesso livello affinché ci sia gioco.

Se hai bisogno di stimoli mentali la scarsa propensione allo scambio intellettuale del tuo match che non si presta a rimpalli di notizie, riferimenti culturali conditi di canzoni e gif, be’ potrebbe essere un problema… ma magari dal vivo è un chiacchierone con tanti interessi in grado di calamitare la tua attenzione.

Il virtuale deve a fare meno di sguardi, di gestualità, della fisicità e perfino della chimica che si instaura dal vivo.
Gli incontri di questo genere rispondono alle logiche di mercato e sono vissuti tanto sotto il segno della scelta quanto sotto quello dell’incertezza.
Nessun parola, atteggiamento o traguardo raggiunto sembra essere imputabile a qualcosa di specifico e questo può rendere ancora più difficile comunicare e sentire.

Alcuni indicatori che per lungo tempo avevano rappresentato una certezza adesso non lo sono più.
In questa anomia, viene da chiedersi dove comincia la libertà e dove il caos?
Come scrive Eva Illouz ne La fine dell’amore indagare le relazioni è necessario non per porre limiti ma per “storicizzare e contestualizzare le nostre convinzioni riguardo alla sessualità e all’amore, e di capire che cosa, negli ideali culturali e politici della modernità sessuale, possa essere stato traviato e distorto dalle forze economiche e tecnologiche che confliggono con le norme e gli ideali emotivi ritenuti essenziali per l’amore”.
La fine di molte illusioni e forse l’inizio di una nuova epoca dagli equilibri e dai sistemi diversi può rendere complesso anche qualcosa che dovrebbe semplice e intuitivo. Non ci resta che cercare una corrispondenza tra le possibilità che si presentano e i nostri desideri.


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Giornalista pubblicista, scrive di cultura, arte e attualità per diverse testate, tra cui Artribune e Artslife. Come autrice televisiva ha lavorato per i programmi di La7 e del gruppo Class editori.

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