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ansia sociale da rientro

Benvenuti nella FOGO6 min read

Benvenuti nella FOGO

Parliamo di FOGO (Fear of Going Out), di ansia da riaperture, di algofobia e del problema del ritorno alla normalità.

di Siamomine

Questo articolo è estratto da Dylarama, la newsletter settimanale a cura di Siamomine su tecnologia, scienza, comunicazione, lavoro creativo e culturale.
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Ansia sociale post-covid e FOGO da rientro

Ci scherzavamo su durante la fine del primo lockdown, quando due mesi di clausura sembravano averci reso più sociopatici del solito, ma oggi la questione del ritorno in società sta dando vita a una vera e propria nuova forma di ansia collettiva da riapertura. Parliamo di un fenomeno che è diametralmente opposto alla FOMO (Fear of Missing Out) e che non condivide nulla con il piacere liberatorio della JOMO (Joy of Missing Out): è la FOGO (Fear of Going Out), la paura di tornare alla normalità, alle chiacchiere durante le cene e gli aperitivi, agli spostamenti sui mezzi pubblici e, soprattutto, al lavoro in ufficio. In Italia è stata anche definita sindrome da capanna.

Di reopening anxiety ne parla proprio questo approfondimento sul New Yorker, che spiega come le progressive riaperture degli spazi sociali e dei luoghi di lavoro stiano dando vita a una crisi collettiva sempre più capillare. Quelle che prima del COVID-19 consideravamo banali domande logistiche (esempi tipici come Cosa mi metto? Come ci arrivo? Mi si nota di più se vengo e me ne sto in disparte o se non vengo per niente?) stanno assumendo la forma di veri e propri quesiti esistenziali in grado di trasformare il ritorno in società in un incubo.

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Se da un lato questa nuova ansia sembra trovare le sue cause in comprensibili timori di natura sanitaria (E se il vaccino non dovesse funzionare? Se spuntasse fuori una nuova variante?) dall’altro molti problemi che ci impediscono di vivere serenamente il rientro nella dimensione pubblica hanno a che fare con fattori psicologici, come con il fatto che ci sentiamo più noiosi e meno in grado di gestire una conversazione con persone che non vediamo da molto tempo, soprattutto con quelle che hanno sfruttato la pandemia per licenziarsi e avviare la loro piccola attività di portasaponi in luffa biologica mentre noi facciamo esattamente quello che facevamo prima.

C’è anche un’altra questione: la pandemia, e tutto ciò che ha causato, ci ha spinti a sollevare molte domande che ci riguardano sia come individui che come società. Quesiti di natura morale, politica e sociale a cui però non abbiamo ancora trovato una risposta. Secondo questo articolo pubblicato su Vox l’ansia da rientro dipenderebbe anche dal fatto che durante il lockdown abbiamo posto le basi per immaginare una società migliore, che però non corrisponde in nessun modo alla normalità a cui ci accingiamo a tornare. Insomma, o è troppo presto per rientrare oppure la normalità che conoscevamo prima del COVID-19 non è davvero il posto nel quale vogliamo vivere e che, in ogni caso, non vogliamo definire normale, perché c’è ancora molto lavoro da fare per migliorarne le condizioni.

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Tra le persone più colpite dall’ansia sociale da rientro ci sono sicuramente quelle che si apprestano a tornare alla vita in ufficio. Secondo questa analisi pubblicata su The Conversation, su 4.553 persone intervistate in cinque paesi diversi, ogni singola persona ha riferito di sentirsi ansiosa all’idea di tornare in ufficio. Come spiega l’autrice, il problema più importante va individuato nell’indifferenza delle aziende nei confronti dell’opinione della classe lavoratrice e in quella che lei definisce insinuation anxiety, una tendenza che porterebbe le persone a evitare reclami anche di fronte a un palese conflitto d’interesse (in questo caso le agevolazioni fiscali delle aziende con una o più sedi lavorative) per paura di apparire eccessivamente sospettosi o malpensanti nei confronti delle decisioni aziendali.

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Per concludere, questo approfondimento molto interessante pubblicato su The Vision parla di algofobia, ossessione per la positività e cultura terapeutica: in poche parole, la tendenza a evitare il dolore (che è invece un termometro politico fondamentale) e a psicologizzare problemi di natura sociale come se dipendessero solo dalla nostra capacità di gestire l’ansia e non dall’intervento delle istituzioni pubbliche, ci costringe sempre di più in una società neoliberista in cui il peso è tutto sulla responsabilità individuale e non sull’azione delle forze politiche.

Se analizziamo le cose da questo punto di vista, allora forse la FOGO è qualcosa di più di una semplice ansia da prestazione sociale, forse è l’indice di un rifiuto verso una realtà politica e lavorativa che ci siamo erroneamente abituati a chiamare normalità ma che non riflette in alcuna misura la società in cui desideriamo vivere.


Dylarama è una newsletter settimanale gratuita, che esce ogni sabato e raccoglie una selezione di link, storie e notizie su un tema che ha a che fare con tecnologia, scienza, comunicazione, lavoro creativo e culturale.



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Nata a Roma nel 1989, ma con il cuore tra le montagne. Lavora come content editor freelance, gestisce un archivio fotografico nostalgico su Instagram e collabora con diverse riviste online, tra cui Cosmopolitan e Vanity Fair.

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