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Il bello della diretta social

Il bello della diretta social12 min read

Il bello della diretta social

O di come i social network siano diventati la televisione.

di Lavinia Martini

Artwork di Andy Vible @fatfingers

Della stessa autrice

«Come ti sei sentito guardando questa LIVE? Male. Bene. Né bene Né male» mi chiede una schermata di TikTok. Gli ultimi cinque minuti sono trascorsi a scrollare distrattamente, con il pollice che si portava via balletti (pochi), piastre e arricciamenti di capelli (molti) un tatuaggio, tre persone che si truccavano, una che rimandava al suo Only Fans ignorando alcuni commenti poco dignitosi, una coppia di adolescenti che parlava al telefono.

È un dato di fatto che il tasto “Live” in alto a sinistra di TikTok apra a un mondo di contenuti piuttosto decontestualizzato e confuso: non sono utenti che segui, ognuno procede per una tangente tutta sua, ogni cosa sembra lasciata al caso. È la massima rappresentazione di una comunicazione sincronica e disinvolta: fino a 30 anni fa si mandava una lettera e si aspettava una risposta, oggi i due messaggi vengono formulati quasi in contemporanea, anche grazie alla messaggistica istantanea. 

Ma facciamo un passo indietro. È il 2016 quando le prime voci anticipano l’arrivo di una nuova esperienza digitale, dedotta da altri social come accade spesso: gli utenti potranno andare “live” su Instagram con dei video. Negli anni le funzioni associate a questa modalità comunicativa si fanno più complesse: i commenti, la moderazione, la durata, la possibilità di mettere filtri, di invitare altri utenti a partecipare, di salvare il video, di mandare una notifica per ricordare di essere live, di fare donazioni, di fare dirette di prova, and so on. È il 2020 l’anno in cui le dirette fanno boom: ogni giorno tutti gli utenti in ogni parte del mondo, hanno accesso solo al loro smartphone per comunicare. Useranno le live per intrattenere il pubblico, creare nuovi network, farsi pubblicità, talvolta fare delle attività che si sarebbero dovute svolgere dal vivo in un mondo senza Covid-19, come cucinare, truccarsi, fare sport e stand-up comedy.

È un sistema imperfetto, ma funziona. C’è qualcosa forse in quei secondi che precedono la diretta, in quella possibilità di interazione immediata e plateale, che rende le “live” così appetibili da invadere ogni social network. Scriverà su Facebook Chiara Cavalleris, editor di Dissapore “Non ci sono abbastanza persone per tutte queste dirette. Qualcuno faccia dei figli o avremo troppe dirette pro-capite da seguire”. In un attimo i social si sono trasformati nello strumento che gli utenti hanno maggiormente ripudiato negli ultimi anni, cioè la televisione. Nel 1986 andava in onda “Il Bello della Diretta” con Loretta Goggi che si esibiva in ogni arte del varietà. Oggi l’esibizione si è articolata in declinazioni diverse, fino a diventare una “non esibizione” ovvero un utilizzo quasi casuale dello strumento, annoiato e noioso.

Ma questo è forse l’ultimo step a cui arrivare per un’analisi consistente del tema. Torniamo al 2020, alle camerette che diventano set cinematografici, alle librerie camuffate da scenografie, alle cucine che si trasformano nel Grande Fratello, persino Anna Wintour una delle giornaliste di moda più influenti al mondo, si mostra in tuta da casa sul profilo di Vogue: in questo momento l’umanità (quella cellularizzata) scopre la diretta come luogo in cui le cose accadono, come canale performativo. Alcune live diventano anche notiziabili, come quella di Woody Allen che ha intervistato Alec Baldwin, o di Timothèè Chalamet prima di andare al Met Gala, o la famosa diretta di Fedez, con Peppe Civati, Marco Cappato e Alessandro Zan.

È il 2016 quando le prime voci anticipano l’arrivo di una nuova esperienza digitale, dedotta da altri social come accade spesso: gli utenti potranno andare “live” su Instagram con dei video.

La pandemia comunque sembra affievolirsi nel giro di due lunghi anni e con essa il flusso delle dirette, gli eventi che si svolgevano ormai solo online rivivono fuori dalle mura, qualcuno si era chiesto se i grandi concerti si potessero rimpiazzare con il live streaming. Nel 2022 sono tornati sia Glastonbury che il Primavera Sound. Meta ha rinunciato ai formati di “shopping live” per dedicarsi ai suoi video più brevi e performanti, i reels. Nel 2023 sembra che le dirette siano diventate cringe. 

A giochi fatti, non ci resta che fare il punto della situazione. Partendo dal fatto che in ogni diretta c’è almeno un elefante nella stanza, ed è il numero dei partecipanti. Instagram, lo stesso Instagram che ha permesso ai suoi utenti di nascondere il numero dei likes ai post per ridurre la pressione dell’engagement, sceglie di tenerlo visibile. C’è in alto un rettangolo rosso con un occhio che conteggia chi sta guardando la live, è di grande impatto e nessuno può ignorarlo, da una parte e dall’altra dello schermo. Significa che quel numero è uno strumento di potere: attirerà persone se è molto alto e le respingerà se è troppo piccolo. Se è così piccolo da sfiorare lo zero, sarà un elemento di grande imbarazzo, come entrare in una stanza con una sola persona a una festa di sconosciuti.

Queste dirette sono intese come momenti fluidi, disorganiche e disorganizzate per alcuni, ultra formalizzate per altri. Si entra nelle case delle persone, le si osserva quasi senza filtri, in solitudine o in compagnia, si lascia un commento e spesso, si va via.

Tempo fa una content creator mi disse che sentiva come angosciante il fatto di avere quel significativo numero rosso a testimoniare o meno il suo fallimento: come l’avrebbero presa gli altri utenti? Che valutazioni avrebbero fatto gli eventuali brand interessati a collaborare o a rinnovare una collaborazione? Non stupisce dunque che siano nati numerosi servizi online che permettono di acquistare visualizzazioni per le dirette. Instagram dice che andare live “ti consente di offrire al pubblico contenuti preziosi e avviare una conversazione, il che può aiutarti a stringere relazioni più profonde”. Ma omette la prima necessità intorno alla quale hanno trovato credito le dirette, soprattutto quelle di gruppo, ovvero l’accrescimento dei follower. Basta scegliere di coinvolgere un brand, un influencer, un’azienda con una community più grande di quella di partenza e si avrà l’opportunità di mostrarsi a un pubblico diverso e più numeroso del proprio. Instagram ha meccanismi molto diversi dagli altri social per aumentare i propri seguaci, non può stringere relazioni a doppio senso come su Facebook e su Linkedin, per cui capitalizzare una prassi per allargare il proprio peso digitale diventa imperativo.

Da una seconda angolatura, la questione dei “watchers” si somma a quella del formato. Queste dirette sono intese come momenti fluidi, disorganiche e disorganizzate per alcuni, ultra formalizzate per altri. Si entra nelle case delle persone, le si osserva quasi senza filtri, in solitudine o in compagnia, si lascia un commento e spesso, si va via. Del resto i social non sono la televisione: qui gli utenti urlano la loro voglia di essere coinvolti, di dire la loro. Lo fanno con commenti fuori luogo, “mi saluti?”, scrivono spesso, oppure lasciano apprezzamenti sul fisico, spam per i propri canali, persino bestemmie. Esiste un filtro per le parole, ma non tutti lo adoperano. Durante l’ultima campagna elettorale, Matteo Salvini ha utilizzato le live di Tik Tok per parlare di temi politici mentre metteva “fiorellini” ai commenti e indossava filtri con occhiali fluo. Lo show deve andare avanti, anche se quei commenti invadono il piccolo schermo del telefono al punto da coprire le voci e i volti di chi parla. C’è poi il tema della connessione, del riverbero, dell’audio: per quanto formalizzata è sempre una diretta casereccia, sono diverse le componenti che possono renderla un’esperienza disturbante. Sarà per questo che appena è stato possibile ci abbiamo rinunciato senza fare troppe storie.

Un canale esclusivamente dedicato alle dirette è Twitch dove le cose sembrano funzionare in modo completamente diverso. Nato nel 2011 da Amazon, ad oggi conta nel mondo circa 40 milioni di utenti (dato 2021) di cui poco meno di 3 milioni in Italia (dato 2022). “L’idea è quella di aprire un canale per fare delle cose utilizzando una chat di conversazione” spiega Nicola Bernardi, fotografo e creator su Twitch “tranne in determinati casi chiunque può partecipare a uno streaming. Si tende a strutturare molto il tipo di contenuto, non è così comune che qualcuno accenda la videocamera solo per andare live e chiacchierare del più e del meno, anche tecnicamente ci sono delle cose da imparare”. Rispetto agli altri social, l’utilizzo della chat di conversazione sembra più rilevante. “Anche in poco tempo puoi creare una community veramente interessata a quello che fai, è una simulazione dello stare sul divano con i tuoi amici a giocare ai video giochi”. E infatti Twitch nasce inizialmente proprio per il gaming, per poi allargarsi ad altre attività, dalle live di ritocco fotografico, alla creazione di illustrazioni, alle interviste strutturate, alle ricette in cucina, alla composizione di musica dal vivo. C’è molto tempo, la moneta principale di Twitch, da trascorrere in compagnia delle persone che ti interessano.

All’inizio si può partire anche dal nulla, seguiti da numeri bassissimi “la costanza viene estremamente ripagata” spiega Nicola “cominci per due persone e arrivi a molte di più. Però devi dedicarti per diverse ore a settimana: nessuno fa streaming per 10 minuti”. Anche per via della pandemia, Twicht è diventato molto più popolare, pur rimanendo tutt’ora una piattaforma dove interagiscono delle nicchie, per questo maggiormente efficace per chi fa cose specifiche e ha la live come obiettivo finale.

C’è anche la questione della monetizzazione ad essere estremamente rilevante: quasi tutti i social si sono interrogati sulla possibilità di retribuire i creator per il loro tempo live. Anche questo elemento contribuisce a sottolineare l’enorme complessità di interazione e rappresentazione del sé che lo streaming e le live offrono. Quello che resta da capire è come il format di contenuto si evolverà dopo l’ingordigia del periodo pandemico: lo spettacolo c’è, chissà se ci saranno gli spettatori.


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Giornalista, scrive di viaggi, turismo sostenibile, cibo, hospitality e ambiente su testate nazionali e internazionali.

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