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mascolinità tossica

La mascolinità tossica in rete15 min read

La mascolinità tossica in rete

Panoramica di uno dei fenomeni più controversi di internet: la manosfera

di Alessandro Mazzi

La crisi della mascolinità è uno dei fenomeni più in crescita del momento. Si parla già da diversi anni della manosfera, l’insieme di community, siti web e contenuti online creati da uomini in prevalenza bianchi cis eterosessuali che esaltano misoginia, queerfobia, razzismo e violenza predatoria. Sono canali che diventano fucine di trend tossici e focolai di ideologie estremiste affiliate all’estrema destra, trovando terreno fertile negli algoritmi che ne promuovono i contenuti. Al di fuori delle comunità e delle personalità più note, i contenuti della manosfera proliferano grazie ai suoi oppositori. Consci della reazione che provocano, la rabbia e l’odio sono attivamente adoperati dai creator come motore virale per inondare gli algoritmi coi propri contenuti. Storicamente la sfera nasce con il blog The Manosphere nel 2009, durante la grande recessione economica, fattore che ha contribuito ad alimentare il nichilismo di molti uomini che vedevano nel lavoro e nella famiglia un fattore fondante della propria mascolinità. Nello stesso periodo, come dice Emma A. Jane, la manosfera si è sviluppata attraverso i primi social, trovando nel web uno spazio di risonanza dove creare bolle e tribù in cui far circolare il proprio risentimento.

Muoversi nella manosfera richiede anzitutto una certa consapevolezza. Se 4chan, le community Reddit e Il Redpillatore, per citarne solo alcuni, continuano ad essere dei luoghi di ritrovo, di fatto la manosfera si è estesa in tutti i social al punto da scindersi in tante manosfere basate su etnie, trend e linguaggi condivisi. Categorie coniate dalla teoria redpill come chad, cuck e normie, oppure la classificazione dei maschi in alpha, beta, omega e sigma sono ormai parte dello slang online. È facile perdersi tra i contenuti in cui si mischiano dibattiti sulla sessualità e le identità di genere, il ruolo e il potere sociale dei sessi, critiche anarconichiliste della società moderna, teorie del complotto, simbolismi ed esoterismi, studi religiosi e filosofici, vigoressia e culto della palestra, esaltazione delle civiltà tradizionali, pratiche di autodisciplina riprese dalla filosofia e dal monachesimo antichi, meme e immaginari pop che rappresentano le diverse declinazioni archetipiche della mascolinità.

La crisi della mascolinità nasce perché l’occidente sta cercando di ridefinire i ruoli sociali delle identità di genere, cercando di garantire allo stesso tempo la massima libertà ad ogni individuo di essere sé stesso, senza però preoccuparsi di offrire una cosmologia condivisa che spieghi i rapporti tra le varie identità. Il risultato è una serie di scontri a colpi di podcast tra profili schierati, dove la mascolinità cerca di definirsi passivamente attraverso l’opposizione al femminismo e alla comunità queer, oppure ripescando dal passato figure mascoline come guerrieri e sovrani. Per i giovani maschi è indispensabile attraversare un rito di iniziazione all’essere uomo, ma questo bisogno, che presuppone l’esistenza di una metafisica, non viene riconosciuto dal capitalismo, mentre viene polarizzato dai social. Il risultato sono uomini che non sanno cosa sia la mascolinità, restano in uno stato di incompiutezza e infantilismo perenne, soffrono per questo vuoto ma praticano la propria introspezione attraverso meme e contenuti social che fungono da archetipi per poter memare che tipo d’uomo essere. Anche se sono funzionali per la sfera virtuale, i meme sono un mezzo insufficiente e il loro effetto terapeutico dura per la lunghezza di un commento.

La crisi della mascolinità è uno dei fenomeni più in crescita del momento. Si parla già da diversi anni della manosfera, l’insieme di community, siti web e contenuti online creati da uomini in prevalenza bianchi cis eterosessuali che esaltano misoginia, queerfobia, razzismo e violenza predatoria.

Il polo della manosfera su TikTok si muove tra gli hashtag #manosphere da 150 milioni, #rejectmodernity da 46 milioni, #embracemasculinity da 154 milioni, #gymmotivation da 19.3 miliardi, #sigma da 15.6 miliardi, #mensmentalhealth da 1.4 miliardi, #alphamale da 1.3 miliardi, #stoicism da 203.6 milioni, solo per citarne alcuni, ma i veri nuclei ruotano attorno ai suoi sacerdoti. Zelota assoluto del maschilismo tossico estremo è Andrew Tate, ex-kickboxer e imprenditore trentacinquenne di etnia mista, bannato questa estate da tutti i social principali, Twitter, Youtube, TikTok, Facebook e Instagram, dopo che per mesi ha regnato incontrastato tra le visualizzazioni complessive. I suoi hashtag #andrewtate e video hanno raggiunto cifre deliranti superiori alle 20 miliardi di tag solo su TikTok, mentre le ricerche Google del suo nome nel Regno Unito hanno superato quelle di Donald Trump e Kim Kardashian.

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Similmente a Kanye West, nonostante i ban, fiotte di follower continuano a far girare clip dei suoi podcast attraverso gli hashtag ancora attivi, sia per promuoverlo che per criticarlo. Tra interviste e video promozionali, Tate si presenta come un guru del self-help che aiuta gli uomini a fare soldi, “uscire da matrix” e conquistare qualsiasi donna. La sua popolarità deriva dalla controversia che scatena adottando tutti gli stereotipi tipici del maschio alpha, mischiando la figura capitalista del self-made man al conservatorismo radicale. Invita apertamente a picchiare e soffocare le donne per disciplinarle perché vanno considerate proprietà dell’uomo, a stare a casa e non uscire senza permesso, mentre fuma sigari alla playboy. Nega l’esistenza della depressione, dice che gli uomini non hanno sentimenti, elogia l’Islam nei suoi aspetti più conservatori, da lui considerata una religione ottimale per risolvere la crisi maschile occidentale per via delle regole a cui sono sottoposte le relazioni tra i sessi.

Tate è diventato così endemico da apparire nella home TikTok a qualsiasi nuovo account che iniziasse a seguire video sulla mascolinità. I suoi podcast vengono montati con altre clip seguendo i trend della piattaforma, tra cui il fitness, riprese di gameplay o di cucina. È stato provato che se un giovane adolescente iniziasse a seguire questi trend, inevitabilmente l’algoritmo lo bombarderebbe di video tossici. L’imprenditore è volutamente provocatorio per generare engagement, ma il suo estremismo è reale. Nella sua accademia online privata invita tutti i seguaci a creare profili falsi e manipolare l’algoritmo per diffondere i suoi video. Nonostante TikTok abbia formalmente bannato l’influencer, non ha fatto niente per limitare l’esposizione dei suoi contenuti già presenti, col risultato che milioni di giovani ragazzi lo incontreranno quasi sicuramente.

Il fenomeno Tate segue l’onda parallela di Jordan Peterson, una delle figure principali della manosfera. Peterson è sicuramente il profeta e il ramo intellettuale della setta, di formazione psicologo e accademico. Il suo tag #jordanpeterson da 1.5 miliardi riporta per la maggior parte le clip delle sue interviste più note e citazioni motivazionali, assieme alle lezioni universitarie in cui offre letture simboliche della cultura pop e della storia esaminandone gli archetipi soprattutto attraverso l’opera di Jung, Freud e Nietzsche. Peterson ha cavalcato l’onda dei podcast sul suo canale Youtube dove è esploso a seguito della critica volta verso la legge canadese C-16 che tutela il diritto all’espressione di genere delle persone, sanzionando in caso di mancato uso del pronome richiesto dall’interessato. Un caso che per Peterson violerebbe il diritto a non voler usare i pronomi richiesti. Da quel momento non solo è stato ripreso come paladino della guerra contro il politicamente corretto, ma lo stesso ha rivelato le sue tendenze mosaiche assumendo poi il ruolo di difensore degli uomini, intesi come lavoratori cis di sesso maschile in ottica protestante, di contro il proliferare delle teorie gender. Se le frasi motivazionali e i dibattiti contro le femministe sono un tratto caratteristico del successo di Peterson, lo stesso affascina con la sua eloquenza. Peterson approfitta del fanatismo dei suoi avversari per uscire vincitore dallo scontro dosando bene le parole. Formula il discorso in modo da non esporsi mai del tutto, come in questa intervista in cui fa intendere di equiparare il fioccare della transessualità o delle persone non-binarie ai disturbi della personalità. Se è vero che il politicamente corretto è deleterio, è anche vero che Peterson ha contribuito a considerare la mascolinità in negativo, attraverso l’opposizione a ciò che non è tradizionalmente mascolino. In questo la sua malafede è stata alimentata dal carattere feroce e impreparato di alcune femministe, a cui ha risposto in egual modo. Approfittando del senso di smarrimento di molti giovani, li incita a competere in maniera predatoria per assicurarsi un posto nella gerarchia sociale. Peterson dimostra così di non essere più saggio dei suoi seguaci, perché invece di portarli verso una consapevolezza più ampia presente nelle opere dei suoi autori di riferimento, con le sue posizioni rafforza l’idea che la mascolinità possa definirsi attaccando le altre espressioni.

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Peterson è stato ospite del podcast di Joe Rogan, i cui canali Youtube e Spotify sono esplosi nell’arco di poco tempo. Il podcast di Rogan si presenta come il centro del multiverso manosferico, in cui si ritrovano divulgatori scientifici di fama internazionale, meccanica quantistica e transumanisti, complotti di alieni e antichi astronauti, eremiti che dormono con i lupi, Elon Musk e diversi esponenti dell’alt-right, dinosauri, uomini preistorici, esegesi bibliche, visioni psichedeliche e scoperte archeologiche. Nel 2019 soltanto, il suo podcast è stato scaricato 190 milioni di volte in un mese. Rogan è esploso perché ha creato uno studio che ha l’intimità di una caverna preistorica in cui può esercitare la sua aura da maschio alpha che mangia solo alce cacciato da lui con l’arco mentre parla a briglia sciolta attorno al fuoco. Ascoltarlo soddisfa il bisogno (maschile) di fare chiacchierate notturne sui massimi sistemi nel garage di periferia tra canne e bottiglie vuote. Rogan gioca la parte dell’idiota curioso, caotico neutrale, capace di mantenere l’attenzione dei maschi bianchi su un soggetto per più di due ore. Il segreto è riuscire a interagire con i suoi ospiti come farebbero i suoi spettatori, senza porsi limiti, lasciando piena libertà. Anche se in alcuni casi è progressista, come sulla legalizzazione della cannabis, Rogan appoggia molte posizioni dell’alt-right, cosa che gli ha mosso diverse critiche. Difficilmente si preoccupa di contestare gli ospiti, mostrando evidenti simpatie retoriche per chi ha idee di destra.

È facile perdersi tra i contenuti in cui si mischiano dibattiti sulla sessualità e le identità di genere, il ruolo e il potere sociale dei sessi, critiche anarconichiliste della società moderna, teorie del complotto, simbolismi ed esoterismi, studi religiosi e filosofici, vigoressia e culto della palestra, esaltazione delle civiltà tradizionali, pratiche di autodisciplina riprese dalla filosofia e dal monachesimo antichi, meme e immaginari pop che rappresentano le diverse declinazioni archetipiche della mascolinità.

Non bisogna credere che la manosfera consista solo nella mascolinità tossica, né bisogna condannare a priori come tossico tutto quello che fanno gli uomini nella presa di coscienza della propria mascolinità. L’esplosione del fenomeno ha infatti creato occasioni di confronto, ricerca e catarsi reciproca, in cui gli uomini si interessano attivamente ad autodeterminarsi e promuovere una critica maschile della mascolinità, agendo anche contro le ideologie tossiche. Molti uomini offrono una critica della manosfera e aiutano altri a riflettere su quelli che sono considerati i tratti caratteristici della mascolinità, guarendone gli aspetti più deleteri attraverso i trend. Nell’ambito del culto atletico, una menzione speciale vale per Noel Deyzer, con più di 5 milioni di follower su TikTok, bodybuilder che cerca di contrastare attivamente la mascolinità tossica intercettando la vigoressia in prima persona. Per molti utenti che lo chiamano daddy non è solo un desiderio erotico ma anche la prova che si può trovare sé stessi crescendo senza una figura paterna. Per questo motivo Noel viene considerato come un padre adottivo dai suoi seguaci, spingendo gli uomini a diventare la guida che avrebbero desiderato avere.

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Non mancano creator che invece offrono panoramiche ampie sulla manosfera come F.D Signifier. Nei suoi video esamina la sfera dalla prospettiva di un uomo nero che riconosce gli effetti del decostruzionismo postmoderno nei confronti dell’identità maschile bianca. La tesi è che per la prima volta i maschi bianchi si trovino in una posizione di vulnerabilità e ripercussione sociale nei confronti delle proprie azioni e privilegi, pensando anche al #MeToo. Tuttavia non bisogna ignorare che come esiste una manosfera bianca ne esiste anche una nera che riesce a nascondersi dietro la facciata della difesa dal razzismo.

La manosfera è una dimensione poliedrica che non si limita solo alla mascolinità tossica. Dietro le manifestazioni misogine ed estremiste dei suoi esponenti più influenti, di per sé il fenomeno esprime il bisogno degli uomini di definire la propria identità al di fuori delle vecchie rappresentazioni occidentali e del sistema capitalista in cui la mascolinità si è sviluppata. Tuttavia questo bisogno è stato fagocitato dal web, dove continua ad esistere spesso slegato dai suoi creator, grazie agli hashtag e allo slang memetico ormai divenuto di uso comune. Il flusso costante di contenuti unito al format di canali e podcast reiterano uno status quo che previene una sincera iniziazione alla mascolinità. Nel pantheon virtuale, la mascolinità viene archetipizzata in personaggi come il maschio alpha, il sigma, il chad e il virgin, oppure l’edgelord, veri e propri totem e idoli con cui identificarsi nella sfera collettiva. Nei loro aspetti più positivi queste comunità cercano un sincero confronto immediato con sé stesse, ma nel caso peggiore restano parte di una tribù che si preclude attivamente ogni risoluzione. Le community tossiche e i canali dei loro guru sono diventati covi settari che alimentano lo stesso meccanismo della psicosi. Per ora sta ai singoli influencer dedicarsi ad essere un riferimento per altri uomini, operando vere e proprie conversioni con il proprio esempio, ma questo non risolve il problema alla radice. Bisogna lavorare attivamente tra uomini per ridefinire il maschilismo non più in opposizione agli altri gruppi sociali, ed evitare che la crisi della mascolinità continui ad essere fagocitata dal tribalismo e polarizzata dagli spazi online.


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