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L’arte del product placement10 min read

L’arte del product placement

Breve storia della “pubblicità indiretta” e del suo rapporto speciale con il cinema: cosa ci insegnano gli esempi di product placement cinematografico.

di Siamomine

Di cosa parliamo quando parliamo di product placement

Nella sua accezione più generica, è relativamente facile definire cosa si intende con product placement: si tratta della comparsa deliberata di uno o più prodotti commerciali all’interno di un contesto narrativo, a scopo promozionale.

Per la loro stessa natura, film e serie tv sono il principale terreno fertile per il product placement, tuttavia si trovano esempi anche all’interno di programmi televisivi, mentre di recente i social network hanno aperto nuove forme di espressione che si prestano a dei parallelismi. Infine, si contano esempi di product placement anche all’interno di romanzi e racconti, fotografie, dipinti e illustrazioni, canzoni, videogiochi, dirette streaming o podcast.

A differenza di una sponsorizzazione o di una pubblicità, attraverso il product placement il brand entra all’interno della narrazione con un piglio creativo da cui dipende la buona riuscita dell’operazione, che si considera efficace e funzionale in base a un groviglio di variabili che tengono in considerazione innanzitutto l’irruenza e l’affettazione dell’operazione, ma anche l’integrazione e l’apporto fornito alla trama in relazione all’impatto sul pubblico. Le forme più note e utilizzate di product placement sono lo script placement, lo screen placement o il plot placement, per cui il prodotto è rispettivamente menzionato nei dialoghi, visibile in una scena oppure parte integrante della trama.

product placement esempi ET extraterrestre

Sebbene l’espressione “product placement” inizi a circolare con frequenza tra gli addetti ai lavori dell’industria cinematografica e del marketing a partire negli anni Ottanta – assumendo in questo stesso periodo anche le connotazioni alle quali si fa riferimento tutt’oggi – il rapporto tra brand e cinema è stato intenso sin dalle sue origini.

Dai fratelli Lumière fino alle gigantesche produzioni del nuovo millennio, come vedremo, sono molti gli esempi che costituiscono la storia di una strategia di marketing che talvolta ha contribuito in maniera evidente al successo e all’iconografia di un film o di una scena memorabile, per esempio è indissolubile il legame tra la figura di James Bond e il Martini e l’Aston Martin, oppure, in altri casi, ha rilanciato oltre ogni rosea aspettativa la popolarità di un prodotto di consumo, in tal senso l’esempio più citato è quello della Hershey che aumentò esponenzialmente le vendite dopo la comparsa dei propri cioccolatini Reese’s Pieces in E.T. l’extraterrestre, avviando in seguito una collaborazione di successo.

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Come è facile immaginare, l’espressione aurea della tecnica di product placement è visibile soprattutto negli Stati Uniti, nei quali, in termini di budget, è concentrata quasi la totalità del mercato, con cifre che fanno apparire irrisorie quelle abituali per una produzione in Italia.

Ad ogni modo, “l’arte del product placement” è in ascesa da decenni un po’ ovunque, come dimostrano gli investimenti crescenti che in alcuni casi raggiungono le centinaia di milioni di dollari per una singola produzione e da cui dipende una sempre più grossa fetta del budget a disposizione. Un’arte tanto peculiare da essere sempre più spesso curata da apposite agenzie specializzate e mediata da specifici organi di competenza.

Attraverso il product placement il brand entra deliberatamente all’interno della narrazione con un piglio creativo da cui dipende la buona riuscita dell’operazione

Esempi di product placement cinematografico

A questo punto è necessario fare dei distinguo. Nella forma più classica di product placement un’azienda paga una cifra concordata in base all’apparizione del proprio prodotto nel film: numero di scene, durata, inquadrature, visibilità del logo, citazioni o utilizzo da parte dei protagonisti, per esempio.

In base all’ingerenza del brand si può a sua volta suddividere in product plugenhanced placement e product integration. Si possono riportare infiniti esempi che hanno segnato la storia del cinema al pari di quella della pubblicità: i più citati sono certamente Ritorno al futuro con Nike e Pepsi, le Onitsuka Tiger indossate da Uma Thurman in Kill Bill, gli occhiali Ray-Ban in Top Gun.

Una seconda forma di product placement, non prevede l’esborso di budget ma solo la fornitura del prodotto, indumenti, alimenti, dispositivi tecnologici, automobili, qualsiasi cosa dovesse essere necessaria per la realizzazione di un’opera, in cambio della apparizione in scena delle forniture o di una menzione.

Infine possiamo annoverare tra le tipologie di product placement una terza variabile, ossia quella in cui un prodotto viene richiesto a fini narrativi e culturali, per una migliore riuscita dell’opera, per esempio per contribuire alla contestualizzazione storiografica, alle ambientazioni, a delineare al meglio un personaggio o appunto alla plausibilità della trama.

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Riportiamo due casi celebri in tal senso: quello della FedEx che in Cast Away svolge un ruolo quasi predominante, seppure stando alle dichiarazioni riportate, non sia stato stretto nessun accordo economico per far comparire la compagnia di trasporto postale, e l’ancor più recente caso di Stranger Things, costellato in ogni puntata di brand e prodotti di consumo, a quanto pare senza alcun introito, ma solo per contribuire a creare un contesto anni Ottanta credibile.

Esiste poi anche una forma riversa di product placement, detta appunto reverse placement, che consiste nel percorso inverso, ovvero quando un prodotto di fantasia all’interno di un prodotto di intrattenimento entra nel mercato reale: i cioccolatini di Willy Wonka o la birra Duff per esempio. Bisognerebbe poi aprire un capitolo a parte per il caso Mad Men all’interno di tutto questo discorso, in questo caso citiamo soltanto la campagna pubblicitaria che viene ideata all’interno della serie tv per la Heinze, la quale non si è lasciata sfuggire l’occasione di riutilizzarla anche nella vita reale.

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È evidente che lo scopo principale di questa forma di comunicazione del marchio sia la persuasione e l’aumento della notorietà del prodotto, mirato dunque a condizionare le scelte del pubblico seppure in maniera indiretta. Per questo è stato spesso necessario puntellare con apposite leggi e regolamenti la comunicazione persuasiva di un marchio all’interno di un contesto avulso.

Di fatto però, per quanto riguarda l’industria cinematografica, le limitazioni prevedono che venga dichiarata nei titoli di coda la presenza di prodotti a fini commerciali e che questa sia integrata nella narrazione, senza interromperla e senza che ne venga esplicitamente incoraggiato l’acquisto. Sono sottoposti a una restrizione più dura i prodotti destinati ai bambini, i farmaci o i prodotti a base di tabacco.

L’era digitale ha aperto nuove frontiere per il product placement. Una delle più eclatanti è il cosiddetto “product placement on steroids”, per cui attraverso l’utilizzo di fotomontaggi in 3D è possibile inserire prodotti “aggiornati” all’interno di vecchi programmi televisivi: sarebbe oggettivamente un sogno vedere Chandler di Friends scrollare su uno smartphone, ma forse ancora non siamo arrivati a questo.

Invece è ormai una costante l’utilizzo del product placement all’interno di dirette streaming su YouTube o Twitch per esempio, durante le quali è sempre più frequente la comparsa di prodotti di consumo, indossati, ingeriti o semplicemente esposti in qualche modo dalle celebrità in questione dall’altra parte dello schermo.

Questo esempi fanno pensare che il futuro sarà ancora roseo per le nuove forme di product placement, probabilmente in un’accezione meno romantica e creativa rispetto allo sforzo di innestare in maniera naturale un prodotto nel naturale svolgimento dei fatti, ma pur sempre efficace visto il crescente utilizzo e i numeri che fanno registrare.


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