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lavorare per la gloria

Lavorare per la gloria16 min read

Lavorare per la gloria

Cinque lavoratori e lavoratrici dell’industria creativa e culturale condividono con noi il loro punto di vista eterogeneo sulla cultura tossica della non retribuzione e del lavorare per la gloria.

di Siamomine

Poco più di un mese fa, abbiamo realizzato un podcast in collaborazione con minimum fax con l’intento di approfondire, attraverso i nostri strumenti e adottando il nostro punto di vista, alcuni degli aspetti più problematici della cultura lavorativa contemporanea.

Dal lancio del progetto a oggi, abbiamo osservato gli ascolti crescere e il dibattito aprirsi sempre di più attorno a questo complesso argomento per arrivare ad accogliere le voci e le esperienze di chi ha ci ascoltato, permettendoci di ampliare il discorso anche a temi che – purtroppo – non abbiamo avuto tempo di trattare all’interno delle cinque puntate del podcast. 

Questa opportunità di ascolto e di scambio, ha avuto l’inevitabile effetto di renderci conto come alcuni problemi – che auspicavamo superati – sono oggi più presenti che mai. Tra quelli che sono emersi con più veemenza, c’è sicuramente il problema di lavorare per la gloria o, usando altre espressioni utilizzate in questi casi, per la visibilità o per la gavetta.

L’artificio retorico utilizzato in questi casi trasforma il suo linguaggio a seconda dei settori: è caso tristemente noto quello che coinvolge, ad esempio, i giovani lavoratori delle cucine, a cui viene rimproverata una scarsa volontà di apprendimento solo perché chiedono di essere retribuiti anche alla prima esperienza, oppure il lavoro domestico, di cui abbiamo avuto modo di discutere nella quarta puntata del nostro podcast, in cui le scarse condizioni di lavoro e la spesso assente remunerazione sono giustificate dalla pretesa che si tratti di mansioni fatte per amore.

Il settore creativo e il mondo del lavoro digitale sono sicuramente ambienti lavorativi dove questo atteggiamento si manifesta assumendo forme tanto subdole, quanto brutali: succede alle tantissime figure freelance che popolano questo mondo, ma anche alle agenzie di comunicazione e agli studi creativi. Infatti, è successo anche a noi. 

Questo articolo nasce proprio per raccogliere contributi e testimonianze provenienti da diverse figure professionali che lavorano nel nostro settore. Sono interventi che raccontano episodi di mancata compensazione, ma non solo: ci sono riflessioni di varia natura, punti di vista e considerazioni eterogenee e anche divergenti tra loro di chi lavora in questi settori da molti anni e ha osservato queste dinamiche insinuarsi nella quotidianità al punto da far sembrare la mancata retribuzione qualcosa di normale, dove la famigerata gloria o la visibilità diventano improvvisamente valute accettabili per chi con il lavoro provvede alla propria sussistenza quotidiana.

Ringraziamo vivamente per i contributi Giulia Menicucci, Riccardo Russomanno, Anna Magni, Valerio Ciaccia e Francesco Caporale. La nostra storia, invece, abbiamo deciso di raccontarla qui, dove potete trovare anche il frutto del nostro lavoro non retribuito, che abbiamo deciso di trasformare in una risorsa disponibile al pubblico, perché se è gratis, allora è gratis per tutt*.

Anna Magni – Creative Designer e Art Director

Sono nel mondo del lavoro da dieci anni e da sei sono freelance.
Si può dire che abbia una certa esperienza, ma nonostante tutto ogni tot si ripropongo alcune situazioni che possono essere definite: “le pietre miliari del lavoratore autonomo – in Italia”.

Sono situazioni che nonostante gli anni di esperienza ciclicamente accadono:
• Non essere pagato
• Spiegare il mio lavoro

Posso tranquillamente affermare che il 90% del mio fatturato non è grazie alla mie doti da designer ma è come spiego il mio lavoro e come formulo i preventivi.
Ci sono varie problematiche su questa questione, ma reputo che la più seria sia una: se esci fuori dall’ambiente di agenzia, e ti confronti con persone/imprenditori singoli c’è una grande ignoranza sul lavoro creativo, in Italia sicuramente.

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Essendo un lavoro in cui bisogna usare la testa (per la progettazione), l’immaginazione (per il concept creativo) e le doti artistiche (per l’output) è continuamente screditato e percepito come “inferiore”.

Per me è una cosa preoccupante che nel 2022, ci sono imprenditori che ancora non capiscono cosa voglia dire “comunicazione”.
Più volte mi è capitato di non essere stata pagata perché il lavoro che ho proposto non è stato apprezzato, senza capire che di base non c’è solo una persona “che disegna” ma c’è un professionista che dedica il proprio tempo per un progetto.

Giulia Menicucci – Social Media Strategist e Copywriter

Quando si parla di lavoro pagato in visibilità sarebbe meglio parlare di lavoro gratuito.
Esistono delle forme di lavoro gratuito apprezzabili e condivisibili, ma in questo caso si parla di lavoro pro-bono. Ho diversǝ amicǝ che, ad esempio, fanno lǝ avvocatǝ le decidono di difendere gratuitamente alcune persone che si trovano in situazioni particolari e di difficoltà.

Ben differente è la questione quando questa gratuità è richiesta da aziende strutturate, testate con inserzionisti che pagano profumatamente pubblicità su di esse, o eventi sostenuti da sponsor importanti. In questi casi si tratta semplicemente di lavorare gratis.
Qualcunǝ potrebbe dirmi: “a te cosa interessa? Sono scelte personali. Il fatto che tu non lo faresti mai, non significa che sia sbagliato per qualcun altrǝ. Alla fine se a loro va bene così, perché ti incazzi tanto?”

Iniziamo col dire che poter accettare un lavoro pagato in visibilità, e quindi non pagato, è innanzitutto un privilegio.
Questa forma di retribuzione è proposta e accettata praticamente solo nei lavori creativi. Non posso pagare le bollette in visibilità e sono piuttosto convinta che il mio padrone di casa, o il mio meccanico, mi scoppierebbero a ridere in faccia se, al posto dell’affitto o del compenso, gli proponessi uno shout-out sulle pagine social che gestisco.

Tuttavia i lavori pagati in visibilità richiedono tempo e non hanno quasi mai la stessa elasticità nella loro modalità di svolgimento che viene richiesta per la loro retribuzione.
Qualcunǝ potrebbe dunque arrivare a dire che chi non vuole dedicare il proprio tempo come investimento sul proprio futuro evidentemente non ha lo spirito di sacrificio adatto per intraprendere questo mestiere.

Potremmo rispondere che non tutti possono concedersi il lusso di fare questo investimento, e che la retorica, tossica, del sacrificio, è un lusso ad appannaggio solo di alcunǝ. Non tutti possono permettersi di impiegare il proprio tempo in decine di migliaia di battute, ore e ore di ricerca o nottate passate a battere sulla tastiera per rispettare una scadenza a fronte di nessuna retribuzione e come investimento. Può farlo chi solo chi non ha il bisogno e l’urgenza di impiegare la propria forza lavoro per il proprio sostentamento.

Ed ecco perché mi incazzo tanto: perché accettare un lavoro pagato in visibilità significa partecipare a un’asta al ribasso alla quale si ha avuto il privilegio di prendere parte, ma che impatterà su un panorama ben più ampio. Oltre che a devastare un intero settore con l’idea che si possano sviluppare progetti a costo zero, perché se qualcunǝ che accetta alla fine lǝ si trova, tutto ciò contribuisce infatti al meccanismo classista per cui i lavori cosiddetti creativi e culturali possono (e devono) rimanere ad appannaggio di una classe tendenzialmente borghese, impedendo qualsivoglia fantasia di mobilità sociale.

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Finché accetteremo la mancata retribuzione di questi lavori il cliché del radical-chic con la camicia sdrucita e la casa di famiglia all’Argentario sarà salvo. Potrà continuare a lamentarsi dell’inflazione sugli spritz a Roma Est e della gentrificazione dei quartieri popolari dove ora si fatica a trovare una singola a un prezzo umano, però, poi, “li hai visti quelli che bori?” “Figurati c’è gente che guarda ancora il Grande Fratello.”

Eppure questo settore non è fatto di cliché, ma di persone in carne e ossa che ogni giorno sperimentano sulla propria pelle la precarietà e l’incertezza; lottare per condizioni migliori, per noi in primis, ma per tuttǝ, significa anche dire di no, anche quando si può e non costa nulla, perché un privilegio non è una colpa in sé, ma dipende dall’uso che se ne fa.

Valerio Ciaccia – Architetto e urbanista

Ho avuto un solo bagno di gloria in vita mia: un tirocinio non retribuito di sei mesi a Barcellona. Se l’ultima frase non fosse abbastanza cringe posso aggiungere: organizzato dall’ Università.

Nel 2013, la facoltà di Architettura di Roma Tre dava la possibilità ad alcuni studenti dell’ultimo anno di sostituire un esame di progettazione con un periodo di tirocinio presso uno dei prestigiosi studi di architettura con cui l’università era in contatto. Tutte le condizioni lavorative erano a discrezione degli studi. Nel mio caso capitai in uno studio dalle usanze molto “romane”, come le chiamò una volta un professore: gloria, gloria, gloria (e possibilmente nottate).

In uno studio gestito praticamente da un gruppo internazionale di studenti nella mia stessa condizione, mi ritrovai a vivere l’esperienza lavorativa più eccitante e traumatizzante della mia vita. A posteriori considero questa parentesi come una sorta di terapia d’urto che, rendendo violentemente palesi le dinamiche che intercorrono tra sistema universitario, studente/lavoratore e sistema capitalistico, mi ha aiutato a capire, ancora studente, perché lavorare per la gloria/visibilità sia sempre sbagliato.

Lavorare per la gloria è sempre, e nello stesso momento, una forma di sfruttamento e privilegio. Per quanto tu possa essere sfruttato devi poterti permettere di lavorare senza essere pagato. Questa ambiguità si riversa anche nelle sensazioni provate sul posto di lavoro e condiziona i comportamenti di dipendenza psicologica che spesso rapporti lavorativi del genere creano.

Lavorare per la gloria o, meno poeticamente, per la visibilità vuol dire prima di tutto lavorare per gloria o visibilità altrui. Il lavoro totalmente o parzialmente non retribuito è un affare. Per qualsiasi impresa/attività/progetto, azzerare i costi del personale, e quindi del lavoro, vuol dire guadagno economico assicurato. Questo è ancora più vero nel caso di una realtà o un’azienda considerata così importante da poter addirittura irradiare visibilità fino all’ultimo stagista dietro la fotocopiatrice. Se ne vale così tanto la pena avere QUEL NOME sul curriculum, molto probabilmente QUEL NOME è perfettamente in grado di pagare un normale stipendio, oltre a dispensare gloria, visibilità e pacche sulle spalle.

Lavorare per la gloria, o più in generale l’accettare di lavorare a condizioni economiche ingiuste non solo è una pratica riconosciuta dal sistema capitalistico (tirocini, stage, praticantato), ma ne è l’essenza. Già per Marx alla base di ogni profitto vi è la porzione di valore economico non corrisposta ai lavoratori (plus valore). Nell’ottica di una fusione sempre più pubblicizzata tra esperienza universitaria e carriera lavorativa, l’ università più che preparare i giovani al mondo del lavoro, li prepara a essere sfruttati da esso. 

Tra offerte formative basate sulla capacità di overworking notturno o nei weekend degli studenti, contratti da fame per chi fa ricerca, baroni e privilegi, l’Università italiana, incaricata di istruire i lavoratori del futuro, è in realtà un enorme incubatore di prassi, consuetudini e comportamenti tossici, abusanti e spesso illegali che si riversano nella vita lavorativa adulta. E che a volte chiamiamo “gloria”.

Francesco Caporale – Illustratore

Ciao ragazzi! Sono FRA! e sono un’illustratore (e aggiungerei anche artigiano) da 9 anni. Il mio percorso è stato molto lento e infatti, lavorativamente parlando, è “esploso” solo da 4 anni. Lavori per la gloria ne ho fatti tanti e ogni tanto capitano anche adesso ma con il tempo ho imparato a riconoscere quelli “buoni” da quelli “cattivi” ed è di questo che vi voglio parlare, provando a dare un piccolo consiglio a chi sta approcciando a questo mestiere che, non dimentichiamolo mai, è un lavoro privilegiato!

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Per tanto ha dei prezzi da pagare e forse i prezzi sono proprio quei lavori/progetti che non portano subito un riscontro economico. Ma torniamo a noi: come si differenzia un lavoro glorioso buono da uno cattivo? In realtà è molto semplice se si immagina come un investimento. Nel nostro settore gli investimenti sono direttamente proporzionali alla “sperimentazione”.

Sperimentare e provare nuove tecniche è costoso (tempo e soldi). Allora i progetti gloriosi possono diventare buoni se ci permettono di sperimentare e crescere perché anche se non portano un risultato immediato, un giorno saranno lì pronti per essere venduti ad un cliente ancora più grande e disposto a pagarci. Quando, invece, bisogna evitare un lavoro glorioso? Quando vogliono qualcosa che hai già fatto e di cui ne conosci l’assoluta funzionalità. Facciamo un esempio di progetto glorioso in due casi:

-Murales in bianco e nero su una scala. NO!
-Murales con dei nuovi pennarelli tecnologici indossando un jet pack fornito ovviamente dal cliente. Assolutamente Si! Ahahah sarebbe bellissimo!

Quindi ragazzi, sappiate che di lavori per la gloria ve ne proporranno sempre tanti ma, a questo punto, è importante scegliere quelli che sappiamo che davvero ci permetteranno di sperimentare, di crescere professionalmente soprattutto quando siamo più giovani e alle prime armi, negli altri casi (e penso che i professionisti più grandi lo sappiano già, ma tanto vale ribadirlo) è bene sempre chiedere di essere retribuiti!
Da FRA! è tutto. Ciaooo!

Riccardo Russomanno – Graphic Designer

“Never for money, always for love” dicevano i Talking heads nella loro canzone più famosa.
E questa frasetta me la dico ogni volta che mi trovo a fare un progetto per la gloria. Che se in fondo ho deciso di farlo a gratis é perché ho deciso di dare amore. Non lo faccio spesso, ma se lo faccio é perché ci credo. Credo che quel progettino dal basso porterà a cambiare le cose, a far ricco quel piccolo fiammiferaio, o a rendere più visibile l’iniziativa bellissima dell’amico di mio cugino.

La cosa più bella, a parte dare amore, é godere del lasciapassare sulle scelte creative. Do pieno sfogo alla mia creatività, prendo Artax e comincio a cavalcare ai confini di Fantasia ad occhi chiusi. Sperimento, gioco, godo, cambio, rallento, decido, faccio. Proprio perché non c’é budget, posso.

Devo dire che con il tempo sono diventato più duro di cuore, e sono sempre meno i progetti fatti per la gloria.
O forse più semplicemente ho deciso di dare il mio cuore altrove: a una relazione, agli amici, ai miei cari, alle semplici passeggiate o, volendo, alla meditazione.


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