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Parlarne tra Social Media Manager13 min read

Quando le prime opportunità lavorative sui canali social di marchi e aziende hanno iniziato a dare vita a nuovi scenari professionali per giovani neet e neolaureati, l’ecosistema digitale era un ambiente profondamente diverso da quello di oggi. In particolare, tra il 2013 e il 2015, se eri un millennial con poca esperienza lavorativa, ma un’atavica destrezza nell’utilizzo dei principali social network e un forte interesse per la scrittura e la comunicazione, potevi ritrovarti facilmente a ricoprire il primo ruolo da social media manager di un’azienda, una start-up o una redazione giornalistica.

Erano gli anni del predominio assoluto di Facebook, in cui la necessità di sfruttare il potenziale comunicativo dei primi canali social entrava per la prima volta a far parte delle strategie dell’80% delle aziende online. In questo contesto, i social media manager sono stati i pionieri di una nuova forma di content marketing basata sulla creazione di valore attraverso la comunicazione social e, al tempo stesso, di una professione tanto richiesta, quanto difficile da circoscrivere in un’unica definizione.

Tra loro c’era Gaia De Siena, oggi social media manager del marketplace internazionale Everpress, che ha iniziato quando ancora non esisteva una vera e propria cultura di questo lavoro: «Quando ho iniziato a lavorare nel 2013 volevo fare la giornalista, al massimo la PR. Ho iniziato dal mondo delle Public Relations, stiravo e spedivo vestiti in giro per Londra, affinché i magazine potessero scattarli. All’epoca era proprio l’ufficio stampa a pubblicare qualche contenuto sui social del brand, per lo più durante la Fashion Week, ma non si pensava ancora a questi canali come una fonte di monetizzazione o di promozione. Quando ho firmato il primo contratto, il mio titolo è diventato quello di “PR & Social Media Coordinator”. Era l’evoluzione naturale che gli addetti alla comunicazione dell’azienda si occupassero anche dei social, ma non c’era una vera strategia, né un’idea di come questa cosa andasse fatta».

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Per Marella Battiston, che oggi gestisce i profili social e la community di Experience Is, si è trattato di un passaggio simile, il naturale sviluppo di un ruolo legato alla scrittura: «Sono sempre stata affascinata da Instagram e ho sempre voluto utilizzarlo nel mio lavoro, ma non sapevo che sarebbe stato a tempo pieno. Ho iniziato come content editor per il Corriere della Sera nel 2015, poi un anno e mezzo dopo mi hanno chiamata da Condé Nast per lanciare un nuovo progetto, a cui lavoro ancora dopo tre anni».

Oggi, quella del social media manager è ancora una delle figure più ricercate, ma la natura di questo ruolo resta mutevole e versatile, coerentemente con la realtà di uno scenario digitale in continua evoluzione e con le sue origini interdisciplinari. Daniele Zinni, social media manager e memer per l’agenzia dieci04 che segue la comunicazione di Treccani e altre realtà editoriali, è l’esempio perfetto di come un approccio intellettuale focalizzato sulla curatela dei contenuti, più che sulle strategie commerciali, sia fondamentale per questo lavoro: «Non ho mai pensato che mi sarei trovato a fare il social media manager, perché ho iniziato a lavorare prima che i social media manager esistessero. Ho lavorato come giornalista e conduttore radiofonico per anni e, proprio quando pensavo che quella sarebbe rimasta la mia professione, nel 2018 mi è stato proposto, dall’agenzia dieci04, di lavorare con la comunicazione social nel settore culturale. Del mio percorso, rimangono alcune abitudini che cerco di tenere vive nel lavoro che faccio oggi: l’attenzione per la verifica delle informazioni, per la chiarezza e la tempestività nel presentarle; il rigetto dei cliché linguistici e formali, la ricerca di concetti e soluzioni originali; la voglia di catturare il lettore, accompagnarlo, poi stupirlo, e poi ringraziarlo e salutarlo; e in generale lo spirito di servizio nei confronti del pubblico».

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Giornalisti, redattori, addetti alla comunicazione, blogger e PR. Quella del social media manager resta una figura ibrida, nata dall’incontro di questi lavori con le nuove forme di comunicazione germinate dalla diverse piattaforme social, e considerata, almeno nei primi anni, una professione laterale, un punto di partenza piuttosto che di arrivo. Come osserva Gaia: «Sicuramente questa carriera ha rappresentato una sorta di “approdo casuale” per la prima generazione di social media manager, quella che si è affacciata al mondo dei social, quando i social non erano quello che sono nel 2020. Oggi il 90% della comunicazione passa per questi canali e quella del smm non è solo diventata una figura centrale in cui confluiscono più capacità e passioni, ma si è ramificata permettendo di scegliere in quale aspetto specializzarsi: dal paid social e il performance marketing alla parte di content creation e content strategy».

Analizzando annunci di lavoro e guide alla carriera, è evidente come alcune delle competenze indispensabili per assumere questo ruolo siano trasversalmente condivise in ogni settore, come la conoscenza approfondita delle piattaforme e la capacità di elaborare una strategia coerente e interessante per il pubblico di riferimento. Mentre la richiesta di altre capacità, come la promozione commerciale dei contenuti, il rapporto con il portfolio clienti, la redazione e l’analisi della reportistica, varia a seconda degli ambienti di lavoro e degli approcci al ruolo.

In questo senso, quello del social media manager è un lavoro che presenta ancora i tratti autoriali delle professioni da cui evolve, mostrando un forte legame con la cultura, le conoscenze e la visione di chi lo svolge. «Un cliché che affligge questa professione è quello secondo il quale per fare il social media manager basti riempire il calderone di contenuti» spiega Marella «si tratta, invece, di un delicato lavoro di creatività e analisi. Bisogna essere curiosi, studiare bene il target, imparare a pensare come il pubblico e trovare nuove idee per non annoiare e, soprattutto, non annoiarti».

Giornalisti, redattori, addetti alla comunicazione, blogger e PR. Quella del social media manager resta una figura ibrida, nata dall’incontro tra questi lavori e le nuove forme di comunicazione create dalle piattaforme social

Rispetto al rapporto tra analisi e creatività e ai luoghi comuni del mestiere, Daniele osserva: «Forse in tanti immaginano che sia un lavoro in cui devi sempre pensare a vendere o devi urlare (metaforicamente) in faccia alla gente per farti notare; e non è del tutto vero. Per il tipo di persona che sono, l’analisi viene prima della creatività: nel senso che la creatività può prendere infinite strade diverse, ma se lavori per un’azienda devi prima capire a quale pubblico ti vuoi rivolgere, cosa interessa a quel pubblico, quali dinamiche social puoi cercare di attivare perché venga in contatto con i tuoi contenuti, e solo a partire da queste basi puoi (devi) fantasticare sui modi più originali e memorabili per raggiungere l’obiettivo. Altrimenti tutti i canali social farebbero le stesse cose e otterrebbero lo stesso successo».

«Una cosa vera sui social media manager» conclude Gaia «è che non dormiamo mai. Non esistono weekend e vacanze, se un post è programmato per la domenica mattina va condiviso la domenica mattina, e devi assicurarti di essere online per controllare come viene ricevuto dalla tua community, e pronto a parare il colpo se succede qualcosa di negativo. Tra le doti che spesso non vengono elencate c’è proprio il crisis management. In un paio di occasioni mi è capitato di trovarmi nel cosiddetto “eye of the storm” ed è stato fondamentale capire insieme al resto del team come gestire una crisi di immagine sui social».

L’ultimo report pubblicato da Hootsuite e We Are Social sulle tendenze digital per il mese di ottobre 2020, mette in evidenza alcuni dati interessanti. Sui social, in particolare, si registra un aumento del 12% (+453 milioni) di utenti che utilizzano queste piattaforme, trascorrendovi in media 2 ore e 30 minuti al giorno. Si parla di 4.14 miliardi di utenti in tutto il mondo digitalizzato, il 41% dei quali utilizza i social per lavoro, mentre il 44% se ne serve per trovare informazioni sui brand (soprattutto utenti nella fascia 16-34, seguiti subito dopo da quella tra i 35 e i 44). Con il 57.8% delle aziende attive su queste piattaforme con lo scopo di comunicare con i propri clienti, non stupisce che quella del social media manager resti una figura altamente ricercata, soprattutto in un momento storico come questo, in cui mantenere e curare una presenza online è diventata una scelta vitale per molti business colpiti dalla crisi pandemica.

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Secondo uno studio del 2019 condotto da Edison Research, un tema molto importante resta il rapporto tra le nuove generazioni e le diverse piattaforme: mentre Facebook resta il social con il più alto numero di iscritti su base mondiale, il numero di nuovi utenti appartenenti alla fascia di età tra i 12 e i 34 anni sarebbe in costante calo dal 2017. Instagram, dall’altra parte, sembra essere il social più utilizzato da millennials e Gen Z, con l’82% degli utenti intervistati attivi su base quotidiana sul social, a fronte del 59% che dichiara di connettersi quotidianamente a Facebook. E TikTok? Con 689 milioni di utenti iscritti e 32 milioni di download solo a settembre 2020, tampina Instagram nella classifica dei social media più utilizzati al mondo, sebbene il futuro della piattaforma sia ancora incerto.

Come spiega Marella: «Prima Facebook era il posto dove ritrovarsi, mentre Instagram non era ancora così diffuso e permetteva di creare una tipologia di contenuti meno ampia rispetto a oggi. Ora, Instagram è diventato il “nuovo Facebook”: tra stories, carousel e condivisioni è di sicuro il posto più ricco di novità e spunti, e anche quello con l’atmosfera più positiva tra la community. Facebook ora punta tanto sui gruppi e, dunque, sulle persone più che sulle pagine, per questo nella gestione di un profilo social ora i numeri più alti si raggiungono molto più su Instagram. È una questione di algoritmi. Il futuro è tutto da immaginare: arriverà qualcosa che farà diventare Instagram ciò che è Facebook oggi. Sarà TikTok? Secondo me no, ma staremo a vedere».

«Pensavo che i gruppi su Facebook fossero una cosa da boomer» racconta Daniele «e invece sono pieni di gente con dieci-quindici anni meno di me (che ne ho 34). Il dato mi sembra interessante anche professionalmente: i numeri che raccontano di giovani in fuga da Facebook verso Instagram saranno veri, ma la comunicazione non si fa per raggiungere tutti, la si fa per raggiungere di volta in volta determinati target di persone, e allora forse bisogna tener d’occhio anche queste controtendenze».

Oggi Instagram sembra essere il social più utilizzato da millennials e Gen Z, con l’82% degli utenti attivi su base quotidiana sul social, a fronte del 59% che dichiara di connettersi quotidianamente a Facebook

Secondo Gaia «Quello che sicuramente è cambiato negli ultimi anni è che il video content è diventato sempre più importante. IGTV e Reels sono essenziali: l’user base dei social nel 2020 cerca entertainment e informazione, preferibilmente sotto forma di video. Se durante il lockdown TikTok sembrava aver preso piede, credo che con l’arrivo di Reels non avrà vita facile, proprio come è successo a Vine e a Snapchat prima di lui. Probabilmente vincerà la piattaforma in grado di avvicinarsi maggiormente alle necessità delle nuove generazioni, come quella di permettere la nascita di safe space digitali per la community: oggi vediamo già DM parties, feste su Zoom e la possibilità di indirizzare alcuni tipi di contenuti solo agli amici più stretti. È un approccio più intimo, che chi fa il social media manager oggi deve assolutamente considerare».

In occasione del decimo anniversario di Instagram, ricorso il 6 ottobre scorso, un articolo pubblicato sul The Guardian ripercorre la storia del social, il primo accessibile esclusivamente da mobile, mettendo in luce la complessa evoluzione del suo rapporto con la società e la cultura di massa. Dall’impatto sui linguaggi e i consumi, al delicato ruolo di storyteller di una porzione della realtà condivisa dagli utenti. Se c’è una cosa che questi ultimi dieci anni ci hanno insegnato è che i social media non rappresentano uno spazio virtuale avulso dalla realtà, ma una parte integrante di essa, dove è possibile agire e produrre cambiamento. Come osserva Daniele «fondamentale per stare sui social, personalmente e professionalmente, è cercare di renderli migliori e non peggiori di quello che sono. È un problema di ecologia e, un po’ come per i problemi ecologici grossi, anche qui c’è una componente enorme che dipende da corporation pronte a calpestare l’impegno di chiunque in nome del profitto, ma c’è anche un margine d’azione individuale o relativo a piccoli gruppi. Si può fare la propria parte, un po’ come si può evitare di intossicare il signore al primo piano lasciandogli l’automobile accesa sotto alla finestra. Non si risolve così il cambiamento climatico, ma il signore al primo piano ringrazia».

di

Nata a Roma nel 1989, ma con il cuore tra le montagne. Lavora come content editor freelance, gestisce un archivio fotografico nostalgico su Instagram e collabora con diverse riviste online, tra cui Cosmopolitan e Vanity Fair.

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