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Un punto sulla salute mentale deglə atletə9 min read

Un punto sulla salute mentale deglə atletə

Il tema della salute mentale degli atleti e delle atlete non sempre viene trattato con la cura che richiederebbe. Questioni come depressione e ansia sono spesso considerate dei tabù.

di Siamomine

Questo articolo è estratto da Dylarama, la newsletter settimanale a cura di Siamomine su tecnologia, scienza, comunicazione, lavoro creativo e culturale.
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Ciclicamente la routine del commento sportivo viene stravolta da quei rari episodi che fanno breccia nel coacervo di tabù e frasi fatte sul quale si basa grandissima parte del rapporto tra atleti e media.

A questo punto la strada si biforca. Da un lato il giornalismo, i social e le istituzioni che danno il peggio di sé, sbagliando ogni singola interpretazione e uscita nel merito, calpestando in ogni modo possibile qualunque forma di sensibilità e empatia. Dall’altra chiunque cerchi di resistere tra le macerie, avviando dei discorsi che tentino di sfruttare questi rari episodi come un’occasione preziosa di confronto, crescita e cambio di prospettive. Inutile dire che cercheremo di mostrarvi la seconda faccia della medaglia.

L’ultimo episodio in ordine di tempo è avvenuto circa un paio di settimane fa, questa volta al centro delle polemiche ci è finita Naomi Osaka, giovane e talentuosa tennista giapponese, numero 2 al mondo.

Breve preambolo: in questo periodo si è disputato a Parigi il Roland Garros, uno dei quattro tornei del Grande Slam e quindi uno dei momenti mediaticamente più esposti della stagione del tennis e dello sport in generale. Poco prima dell’inizio del torneo Naomi Osaka ha dichiarato che non avrebbe partecipato alle conferenze stampa obbligatorie, assumendosi la responsabilità e pagando le multe previste (di circa 15mila euro), pur di tutelare la propria salute mentale. In questo momento Naomi Osaka è una delle sportive più in vista al mondo e come è facile immaginare la sua scelta non è passata inosservata, tanto che di lì a poco è stata seguita dalla decisione di abbandonare il torneo, scusandosi per il tempismo della sua comunicazione e rimandando ogni discorso in merito al termine del torneo.

I discorsi in merito sono tantissimi. Quello più generico che questa vicenda ha risollevato è lo scabroso rapporto tra il pubblico e la questione della salute mentale degli atleti e delle atlete, un rapporto che è inevitabilmente mediato dal giornalismo, che, come abbiamo detto, non sempre fa da ponte tra i due mondi.

In questa puntata di Quiet Please, il podcast di Fenomeno dedicato al tennis, Tiziana Scalabrin e Emanuele Atturo dedicano ampio spazio alla questione della salute mentale, parlando degli aspetti legati alle enormi difficoltà di gestire la pressione mediatica e l’apatia ripetitiva delle conferenze, che in particolare nel tennis hanno una cadenza particolarmente ravvicinata, poiché si gioca praticamente tutti i giorni, sempre.

C’è una mancanza di empatia nei confronti degli atleti che soffrono di ansia e depressione?

La depressione e l’ansia nel mondo dello sport sono a tutti gli effetti un tabù. Camuffati dietro a termini edulcorati, nascosti dietro a un velo pietoso o trattati come un’anomalia patetica.

In un lungo approfondimento sul tema della depressione nel calcio, Daniele Manusia, direttore de L’Ultimo Uomo, traccia una panoramica  partendo dal caso di Clarke Carlisle, ex-calciatore inglese che nel corso della sua carriera ha affrontato periodi di profonda depressione, arrivando a tentare il suicidio.

Rimanendo tra le pagine di UU, ma tornando a Naomi Osaka, Tiziana Scalabrin affronta il tema partendo dalla mancanza di empatia nel mondo dello sport, una questione che va ben oltre il caso specifico: «Secondo Susan Cain, autrice di Quiet, molto del nostro mondo è progettato in funzione dei bisogni degli estroversi: istituzioni, spazi pubblici, istruzione, carriere lavorative. In nessuno di questi ambienti si favorisce il silenzio e la solitudine, e questo genera un pregiudizio nei confronti di chi tende all’isolamento: per Cain l’introversione nel sistema di valori contemporaneo occidentale (o capitalistico) è un tratto psicologico di seconda categoria, a metà tra una debolezza e una patologia.»

Sul Guardian, Marina Hyde, mette in evidenza quanto sia comunemente accettato e persino apprezzato un atleta dal carattere controverso o con dei fantasmi interiori, purché scenda in campo e ci mostri di averli sconfitti, altrimenti la reazione è spesso rigida. Inoltre, pone l’accento su quanto, anche in questo caso, ci siano stati registri diversi per Naomi Osaka e per episodi recenti come le controverse dichiarazioni di Novak Djokovic all’inizio della pandemia da Covid-19 oppure sulle accuse di violenze domestiche e abusi mentali rivolte a Alexander Zverev. Non è difficile immaginare che possa esserci anche una disparità di genere oltreché di sensibilità nel trattamento delle notizie.

Tutto cambia se si guarda la reazione dei colleghi e delle colleghe di Naomi Osaka, trasversalmente per ogni sport e disciplina. In questo articolo uscito su Time si riassumono le prese di posizione a favore delle dichiarazioni di Naomi Osaka e alcuni esempi “celebri” simili, oltre alle conseguenze positive che potrebbe avere il dibattito scaturito dalla vicenda.

Il New York Times ha pubblicato un articolo che aggiunge un ulteriore aspetto del discorso: quello del culto dell’ambizione, dell’esaltazione dello spirito di sacrificio e delle difficoltà a sostenere degli sforzi mentali così duri per la nostra psiche. Si tratta di aspetti che sono radicati nell’immaginario collettivo che vengono considerati come esclusivamente positivi, poco problematizzati e in un certo senso naturali. È tutt’altro che così, questo lungo articolo di The Atlantic parla di quanto negli Stati Uniti chi pratica sport a livello agonistico in età adolescenziale sia sottoposto a pressioni che per tantissimi giovani sfociano in forme di ansia e depressione.

Un aspetto diverso, ma che in un certo senso si ricollega alla dipendenza da fattori mediatici ed economici e su cui si inizia a discutere, è quello dell’eccessivo numero di partite con cui da qualche anno a questa parte vengono riempiti i calendari stagionali di moltissimi sport, sempre più dipendenti da sponsor e diritti televisivi per sostenersi economicamente, con conseguenze disastrose su chi deve sottoporsi a una prestazione fisica a ritmi fisiologicamente forsennati.

Non parliamo quasi mai di sport, quindi ci concediamo una piccola digressione visto che quando questa newsletter sarà spedita saranno appena cominciati gli Europei di calcio maschile. Se volete seguirli quotidianamente con un podcast che ne parlerà in termini tecnici ma anche culturali e pop, vi consigliamo Wembley, condotto da Simone Conte insieme a Camilla Spinelli che uscirà su Il Post.


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