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nuova generazione console

All’alba della nona era20 min read

Durante una delle recenti dirette Facebook del Presidente del consiglio Giuseppe Conte, volta a comunicare le ultime novità in merito alle misure anti-covid, è apparso un commento diventato presto virale nella bolla degli appassionati di videogiochi: «Se davate il bonus PlayStation anziché il bonus monopattini, tra una settimana non ci sarebbe più nessuno in giro», scriveva un utente. Per quanto sgrammaticata, la provocazione appare a suo modo sensata, e corroborata dai dati relativi al boom del settore videoludico durante il primo lockdown dell’anno.

C’è stato un incremento generalizzato del numero di giocatori attivi e della spesa per l’acquisto di videogiochi e console che ha accelerato una crescita costante nel tempo già ben fotografata, per quanto concerne il continente europeo, dall’ultimo rapporto annuale dell’IFSE.

La piattaforma digitale Steam, ad esempio, il 15 marzo 2020 ha registrato per la prima volta più di 20 milioni di utenti online contemporaneamente, e ha continuato a migliorare ripetutamente il record nei giorni e nelle settimane successive, fino ad arrivare ai 24 milioni del 4 aprile. Appare evidente come in un mondo in cui si annullavano i concerti, si chiudevano i cinema e si invitava la popolazione a rimanere il più possibile a casa, la ricerca dell’intrattenimento e delle distrazioni necessarie e superare un periodo difficile dal punto di vista psicologico si sia indirizzata soprattutto verso i videogiochi, che nel frattempo si preparavano a entrare in una nuova era.

Tra le tante cose che nel 2020 sono avvenute per la prima volta c’è stato infatti il lancio durante una pandemia di una nuova generazione di console, la nona, secondo la convenzione per cui si usa suddividere la storia delle console in generazioni corrispondenti a importanti salti tecnologici.

La prima (1972) vedeva ancora una sostanziale coincidenza tra hardware e software, con i titoli disponibili già presenti all’interno delle rispettive macchine da gioco. La seconda (1976) fu caratterizzata dall’introduzione delle cartucce e da una conseguente espansione dell’offerta di videogiochi, che però colse impreparato il settore: la mancanza di una stampa specializzata e di controlli di qualità da parte dei produttori portarono a un’ondata di titoli di pessima fattura dalla quale faticarono a emergere i giochi migliori, e il risultato fu la crisi del 1983, con il fallimento di Atari e un allontanamento del pubblico che quasi troncò sul nascere un settore promettente come quello videoludico. La terza (1983), la cosiddetta era degli 8-bit, resta forse la più importante: grazie soprattutto a Nintendo e al suo Famicon (conosciuto in occidente come Nintendo Entertainment System, o NES), ma anche a SEGA e al suo Master System, i videogiochi ricominciarono la loro corsa tuttora ininterrotta. La quarta (1988) fu l’era dei 16-bit, segnata dalla famosa console war tra Nintendo e SEGA, e dunque tra Super NES e Mega Drive, e tra Super Mario e Sonic, le rispettive mascotte delle due aziende giapponesi. La quinta (1993) vide lo storico ingresso nel mercato di Sony con la prima PlayStation. La sesta (1998) fu la prima generazione di console connesse a internet, e verrà ricordata anche per il clamoroso abbandono del settore hardware da parte di SEGA e per l’ingresso di Microsoft con la prima Xbox; si andrà così a configurare una nuova rivalità nel settore. La settima (2004) ha visto di conseguenza un avvincente testa a testa tra Xbox 360 e PlayStation 3, anche se poi su entrambe ha trionfato Nintendo con l’incredibile successo della Wii. L’ottava (2011) è la generazione di Playstation 4 e Xbox One che si sta ora chiudendo con l’arrivo della nona, e naturalmente un’analisi di quanto è successo negli ultimi dieci anni è fondamentale per capire come si presentano ai nastri di partenza i principali competitor, a partire da Sony con PlayStation 5 e Microsoft con Xbox Series X e S.

Durante la scorsa primavera, c’è stato un incremento generalizzato del numero di giocatori attivi e della spesa per l’acquisto di videogiochi e console. La piattaforma digitale Steam, ad esempio, ha registrato per la prima volta più di 20 milioni di utenti online contemporaneamente.

La PlayStation 4 è stata la console più venduta nell’ottava generazione, e il principale motivo del suo successo va senz’altro trovato nel gran numero di giochi importanti che ha avuto in esclusiva. Nella classifica pubblicata da The Ringer con i migliori videogiochi dell’ultima generazione la top ten è così composta, dalla decima alla prima posizione: Horizon Zero Dawn, Overwatch, Ghost of Tsushima, Uncharted 4: A Thief’s End, Rocket League, The Witcher 3: Wild Hunt, The Last of Us: Part II, Marvel’s Spider Man, God of War, Red Dead Redemption 2; vale la pena notare come su dieci titoli ben sei siano stati esclusive assolute o temporanee di PlayStation 4, un dato importante anche alla luce del fatto che gli altri quattro videogiochi, essendo multipiattaforma, erano comunque disponibili sulla console di Sony. Squadra che vince non si cambia, e dunque la PlayStation 5 si propone come la console su cui sarà possibile provare quasi tutte le maggiori esperienze videoludiche anche nella prossima generazione. Molti degli studi first-party che fanno parte del gruppo Sony Interactive Entertainment Worldwide Studios, e dunque lavorano in esclusiva per la piattaforma PlayStation, hanno già annunciato i loro prossimi titoli: Insomiac Games con Spider-Man: Miles Morales e Ratchet & Clank: Rift Apart, Guerilla Games con Horizon Forbidden West, Santa Monica Studio con un nuovo God of War; e i giocatori sanno comunque di potersi aspettare da Naughty Dog un altro capitolo di Uncharted o di The Last of Us, e così via. Si tratta di giochi ad alto budget dalla forte componente sia narrativa che esplorativa, e dunque non sbaglia forse GamesIndustry nel presentare «PlayStation 5 come il cinema e Xbox Series X e S come il Netflix dei videogiochi».

Già, perché Microsoft, uscita sconfitta dall’ottava generazione, si è trovata forse nella posizione più interessante, dovendosi inventare una nuova identità nella next-gen: e se ne è inventata più di una. GamesIndustry, nel far riferimento al Netflix dei videogiochi, pone l’enfasi sul ruolo sempre più centrale assunto nell’ecosistema Xbox dal Game Pass, un servizio in abbonamento che permette il libero accesso a una vasta libreria di videogiochi, nella quale sono sempre incluse fin da subito le esclusive Microsoft. Anche se questo approccio faticherà a coinvolgere chi vuole possedere e collezionare i propri giochi in versione fisica o digitale, la musica, il cinema e la serialità televisiva hanno ormai abituato un’ampia fetta di pubblico ai servizi in abbonamento; e il previsto aumento del prezzo dei videogiochi tripla A fino a 80 euro potrebbe contribuire a rendere più appetibili formule del genere. Anche Sony offre con PlayStation Now un servizio in abbonamento, ma non lo supporta allo stesso modo e non a caso gli iscritti sono relativamente pochi: gli ultimi dati riportati da GamesIndustry parlano di una base d’utenza di 2 milioni per PlayStation Now contro i 10 di Xbox Game Pass.

Microsoft nel diversificare le due versioni di Xbox ha probabilmente tenuto conto di questo aspetto. Sony ha sempre bisogno della massima potenza di fuoco per essere il cinema dei videogiochi, e ha dunque proposto il medesimo hardware sia nella sua ammiraglia, proposta al prezzo di 499 euro, sia nella PlayStation 5 digital only, priva cioè del lettore ottico, che ne costa 399. Microsoft invece ha scelto di lanciare l’Xbox Series X a 499 euro, e di realizzare con Xbox Series S una versione digital only con componenti differenti: monta la stessa architettura CPU e GPU ma con frequenza e unità di calcolo leggermente ridotte, offre meno RAM e ha un hard-disk SSD meno capiente, e ciò consente di venderla a 299 euro, un prezzo molto concorrenziale per una console che si propone come ideale punto di accesso al Game Pass ed è comunque in grado di far girare tutti i giochi next-gen senza particolari sacrifici nella maggior parte delle configurazioni. Il grande non detto della nona generazione che Xbox Series S porta alla luce, infatti, è che i tanto sbandierati teraflop e gran parte della potenza delle nuove console mirano a garantire una perfetta giocabilità anche su schermi con risoluzione in 4K; i monitor e i televisori più diffusi però sono ancora quelli con risoluzioni in 1080p o 1440p. La differenza è rilevante: basti pensare che una console deve riuscire a visualizzare in ogni frame circa 2 milioni di pixel in 1080p, 3 milioni di pixel in 1440p e 8 milioni di pixel in 4K. Come evidenzia VentureBeat – e se ne trova conferma nella cover story del numero 352 di Edge – le rispettive ammiraglie di Sony e Microsoft dedicano la loro capacità di calcolo soprattutto a quei 5 milioni di pixel in più, che sono in effetti un’enormità, ma non interessano i giocatori senza uno schermo in 4K. Alla luce di queste considerazioni l’Xbox Series S appare una proposta molto intelligente anche al di là del Game Pass.

Tra le tante cose che nel 2020 sono avvenute per la prima volta c’è stato il lancio durante una pandemia di una nuova generazione di console, la nona, secondo la convenzione per cui si usa suddividere la storia delle console in generazioni corrispondenti a importanti salti tecnologici.

Un altro aspetto centrale nella proposta di Microsoft è la retrocompatibilità: sulle due nuove console si potranno giocare i giochi di tutte e tre le generazioni di Xbox precedenti. Non si tratta solo di una scelta  in grado di avvicinare il gaming su console al gaming su PC, in cui la retrocompatibilità viene data per scontata ed è assicurata da innumerevoli software ed emulatori fino ai giochi per DOS dei primi anni Novanta, e ancora più indietro nel tempo; è soprattutto il tentativo di ridefinire concettualmente cosa sia una console, e Microsoft è dell’idea che vada pensata come un dispositivo analogo agli smartphone. Nella storia dei videogiochi l’avvento di una nuova generazione di console ha sempre rappresentato un punto a capo, un hard reset imposto ai giocatori. Lo smartphone invece è qualcosa che si cambia quando se ne ha la voglia e la disponibilità economica, quando si desidera un hardware più potente o una maggiore compatibilità con le più recenti versioni delle applicazioni o dello stesso sistema operativo, come ad esempio Android; l’utente che acquista un nuovo device sposta la SIM e grazie all’archiviazione in cloud ritrova in pochi minuti tutti i suoi contatti, le immagini, le chat e le applicazioni. Sony continua a preferire un’impostazione più tradizionale, con concessioni minime: su PlayStation 5 potranno girare solo i giochi della generazione precedente. Microsoft al contrario vuole rompere questo schema e offrire ai giocatori una serie di console da cambiare in qualsiasi momento ritrovando sempre intatta e immediatamente disponibile la propria libreria di giochi.

Puntare tutto sulla retrocompatibilità o sul Game Pass comporterebbe però un ridimensionamento eccessivo per Microsoft e per le sue ambizioni di tener testa a Sony nella nuova generazione; Xbox, in altre parole, non può rinunciare ad avere dei giochi importanti in esclusiva, e a Microsoft di certo non mancano le risorse necessarie a colmare il gap con Sony. Va vista in quest’ottica l’acquisizione di ZeniMax annunciata il 21 settembre e costata 7,5 miliardi di dollari, che porta in dote una serie di studi di sviluppo di primo livello, tra cui Bethesda, id Software e MachineGames, e con loro franchise storici come Fallout e The Elder Scrolls, Quake e Doom, Wolfenstein. Se l’immediato beneficio è poter arricchire l’offerta del Game Pass con ottimi titoli, il passo successivo sarà sicuramente poter valutare caso per caso l’opportunità di pubblicare uno dei giochi di questi studi come esclusiva Xbox. Intanto gli altri studi first-party che fanno parte di Xbox Game Studios sono da tempo al lavoro su titoli molto attesi: Halo Infinite di 343 Industries, Avowed di Obsidian, Fable di Playground Games. Tutti giochi che oltre a essere esclusive Xbox hanno al momento un’altra cosa in comune: la mancanza di una data di uscita. Microsoft è paurosamente in ritardo, e la pandemia c’entra qualcosa.

Il Covid-19 ha avuto un notevole impatto sul lancio della nuova generazione di console. Cancellate tutte le più importanti fiere del settore, le principali novità sono state comunicate nel corso di dirette video in streaming durante l’estate; inoltre, arrivato il momento della distribuzione, si è fatto molto affidamento sulle pre-ordinazioni online con il ritiro in negozio o la consegna a domicilio, e Sony ha addirittura bloccato la vendita negli store il giorno del lancio: il tradizionale rito dell’acquisto al day one – con la calca e le lunghe ore di coda in attesa delle aperture straordinarie dei negozi allo scattare della mezzanotte del fatidico giorno – con ogni evidenza non sarebbe stato adatto al 2020. Nei primi mesi dell’anno, quando la diffusione del virus sembrava riguardare esclusivamente il continente asiatico, la convinzione era che la produzione delle console avrebbe potuto subire nel migliore dei casi un notevole rallentamento, nel peggiore un totale arresto. La principale preoccupazione riguardava l’hardware, non il software. La Cina e gli altri paesi orientali però hanno saputo frenare presto la pandemia, non sono stati interessati da una seconda ondata, e la produzione non è mai stata davvero a rischio; se l’offerta di unità alla fine sembra essere comunque decisamente minore rispetto alla domanda, questo più che al virus solamente è da imputare all’effetto congiunto di diversi fattori.

Innanzitutto Sony e Microsoft hanno dato vita a un insensato stallo alla messicana in cui nessuno voleva comunicare per primo il prezzo di vendita. All’inizio di una generazione però le console vengono fabbricate in perdita, perciò per stabilire quanti milioni di unità produrre ha una certa rilevanza sapere a quanto verranno vendute e qual è il volume delle prenotazioni; e queste ultime saranno sempre poche finché non si verrà a sapere il prezzo di vendita. Sony alla fine è stata l’ultima a fissare il prezzo, pareggiando – verosimilmente controvoglia – quello già annunciato da Microsoft, ed era ormai il 16 settembre a fronte di un lancio programmato in due scaglioni il 12 e il 19 novembre. Un confronto con la precedente generazione può dare la misura del ritardo; il prezzo della PlayStation 4, lanciata il 15 novembre 2013, venne comunicato in estate durante la fiera E3 (11-13 giugno 2013): un anticipo di più di cinque mesi contro uno di meno di sessanta giorni. In secondo luogo ci sono stati dei ritardi dovuti effettivamente alla pandemia. Infine c’è da considerare una scarsità molto probabilmente pianificata fin dal principio dagli uffici di marketing e volta a generare una certa FOMO tra i giocatori più distaccati e indifferenti, che solitamente aspettano mesi o anni prima di acquistare una console di nuova generazione e invece potrebbero essere indotti ad affrettare i tempi proprio perché il prodotto sembra andare a ruba.

Il Covid-19 ha avuto un notevole impatto sul lancio e sulle strategie di marketing di Sony e Microsoft, che hanno dovuto adattarsi a nuove forme di comunicazione e nuovi metodi di sviluppo dei software.

Ciò che l’inarrestabile diffusione della pandemia ha rallentato davvero in occidente, e negli Stati Uniti in particolare, è stato lo sviluppo del software, e quindi dei giochi di lancio. Agli studi, ad esempio, vengono forniti in anticipo kit di sviluppo che includono una versione provvisoria delle console: ma cosa succede se gli sviluppatori devono lavorare in smart working da casa e tra le clausole presenti nei contratti di fornitura è messo nero su bianco che per questioni di riservatezza i kit di sviluppo non devono mai essere portati fuori dagli uffici? Oppure: cosa accade se gli sviluppatori non hanno a casa computer adeguati allo sviluppo di videogiochi così pesanti e complessi? La risposta è ovvia ed è sempre la stessa: si perde un sacco di tempo. Microsoft, come racconta Bloomberg, si è dovuta riorganizzare creando un software capace di far programmare e testare i giochi da remoto sfruttando la piattaforma xCloud, grazie alla quale gli sviluppatori hanno potuto collegarsi da casa all’hardware presente negli uffici. In alcuni casi è stato persino necessario portare connessioni abbastanza veloci fino alle abitazioni dei singoli dipendenti.

In tutto ciò chi si trova nella situazione più curiosa è Nintendo, il gigante assente che assiste da spettatore interessato a questo salto generazionale. La ragione risiede nel flop della Wii U nell’ottava generazione, che ha portato all’uscita anticipata di una seconda console, la Switch, rivelatasi poi un enorme successo. Nintendo ne sta ancora raccogliendo i frutti: nel 2020 ha superato ogni aspettativa di vendita, registrando diversi record – come riporta Forbes è stata la console più venduta negli Stati Uniti per 22 mesi di seguito – in maniera del tutto inattesa. È stata certo trainata dal successo di Animal Crossing: New Horizons, capace di vendere in pochi mesi 26 milioni di copie; e si è anche ritrovata nell’insperata posizione di essere l’acquisto più sensato durante il lockdown nella prima parte dell’anno, dato che i principali competitor erano ormai prossimi alla fine del loro ciclo. Non solo: Nintendo ha scorte in abbondanza per approfittare della scarsità di console next-gen e far così diventare la Switch, se non ancora l’acquisto più sensato, l’unico per molti possibile durante la fondamentale stagione natalizia. La stranezza della fase in cui si trova Nintendo non finisce qui, perché la Switch già nell’ottava generazione era stata concepita per essere soprattutto l’hardware necessario a far girare le esclusive dell’azienda giapponese, da Super Mario Odyssey a The Legend of Zelda: Breath of the Wild

Tale impostazione ha finito con l’abituare i publisher multipiattaforma a ignorare Nintendo, sulla cui ultima console non usciranno ad esempio i nuovi Far Cry o Assassin’s Creed di Ubisoft, né l’attesissimo Cyberpunk 2077 di CD Projekt Red. Nintendo insomma sta diventando di nicchia, somiglia sempre meno a un produttore di console come Sony o Microsoft e sempre di più a un singolare publisher che richiede l’acquisto del proprio hardware ai giocatori, e non a caso alcuni analisti – Matthew Ball, per dire un nome – hanno iniziato a chiedersi se non farebbe meglio a cambiare business model. I franchise di cui dispone hanno una tale popolarità da prestarsi senza dubbio a modelli differenti: titoli multiplayer come Minecraft e Grand Theft Auto V (grazie a GTA Online) non solo sono disponibili su computer ma si preparano ad approdare sulla loro terza generazione di console, ed è facile immaginare come Super Smash Bros. o Mario Kart potrebbero accrescere la loro utenza e dimostrare altrettanta longevità qualora venissero pubblicati su più piattaforme. D’altro canto parte del fascino di Nintendo sta proprio nel modo in cui ha sempre seguito la propria strada senza farsi influenzare dalle tendenze del mercato, reinventandosi più volte e più volte dimostrando di saper trovare le idee e le intuizioni giuste – a partire dall’aver pensato alla Switch come a una console portatile. Il futuro, certo, è pieno di incognite: oggi la Switch costa più di una Xbox Series S e il suo hardware appare sempre meno adeguato a supportare i giochi next-gen. Nintendo in futuro potrebbe restare competitiva tagliando il prezzo del modello base – e della Switch Lite – e lanciando una Switch Pro per avvicinare la concorrenza. La storia della nona generazione è ancora tutta da scrivere.

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È nato a Roma sette giorni prima che Julio Cortázar morisse a Parigi. Ha fondato Ludica Mag e scrive soprattutto di musica, cinema e videogiochi su varie riviste.

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