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L’abisso dell’emicrania15 min read

«Tre, quattro, ma anche cinque volte al mese passo la giornata a letto con l’emicrania, insensibile al mondo che mi circonda». Il saggio del 1968 di Joan Didion intitolato “A letto” (The white album, Il Saggiatore) è senza dubbio un ottimo punto di partenza per comprendere meglio cosa voglia dire avere a che fare con l’emicrania. «In breve, l’errore fisiologico detto emicrania è un fatto centrale nella mia vita. Tutto può scatenare un attacco: stress, allergie, stanchezza, un brusco cambio di pressione atmosferica, un contrattempo con una multa. Una luce lampeggiante. Un’esercitazione antincendio. Una volta partito l’attacco, non c’è farmaco che tenga. Quando sono in preda all’aura passo con il rosso, perdo le chiavi di casa, rovescio qualunque cosa tenga in mano, non riesco a mettere a fuoco lo sguardo né a formulare frasi di senso compiuto, e in generale do l’impressione di essere drogata, oppure ubriaca» e poi arriva la sentenza della scrittrice di Sacramento, che mette nero su bianco ciò che deve aver pensato chiunque abbia mai avuto anche solo un giorno di emicrania: «Che di emicrania non si muoia appare, a chi è nel pieno di un attacco, un beneficio discutibile».

Secondo il Global Burden of Desease, la cefalea è la seconda causa di disabilità nel mondo e colpisce in varie forme e intensità circa una persona su sette, in leggera maggioranza donne e in particolare nella fascia di età compresa tra i 25 e i 45 anni, il periodo considerato di “massima produttività”. Tant’è che si stimano costi annuali pari a 95 miliardi per cause dirette o indirette legate alla cefalea, di cui il 93% relativi alle perdite dovute all’improduttività.

L’emicrania è una patologia neurologica che, tra i vari sintomi – nausea, vomito, allucinazioni, vertigini, sincopi, sudorazione, sbalzi d’umore, amnesia, cambi di personalità, febbre, diarrea, fotofobia, fonofobia, alterazioni fisiologiche, etc – causa anche ricorrenti cefalee acute che colpiscono un solo emisfero e sono talvolta anticipate da un’aura. È un errore frequente considerare l’emicrania una specie di sinonimo di “mal di testa”, visto che non solo non è l’unico sintomo, ma non è neanche una condizione necessaria e sufficiente, per quanto molto frequente. In circa due millenni di testimonianze, descrizioni e tentativi di comprenderne appieno la natura, questi sintomi non sono mai cambiati, al contrario dell’eziologia, che ha rincorso senza successo molteplici piste, fintanto che oggi, nonostante gli enormi progressi dell’ultimo secolo ottenuti in materia, è considerata sostanzialmente ignota. Possiamo affermare che sia una patologia ereditaria e genetica, possiamo affermare che sia sostanzialmente benigna – nel senso che, come dice Didion, di emicrania non si muore, ma, come vedremo, può avere conseguenze tutt’altro che benigne sull’esistenza di chi ne è afflitto –, ma se ci addentriamo nell’ambito delle cause accertate o delle cure definitive, le risposte diventano molto più vaghe, sfumate e aleatorie.

Nel corso della storia della medicina, ovviamente, molti trattati sono stati dedicati alla cefalea. Per quanto negli ultimi decenni gli studi si siano ulteriormente intensificati, Emicrania (Adelphi) di Oliver Sacks resta una specie di bibbia sull’argomento. Si tratta del primo saggio pubblicato dal neurologo statunitense, scritto in pochissimi giorni, all’inizio della sua carriera e pubblicato per la prima volta nel 1970 – in versione ampliata e rivista nel 1990 – ed è forse tutt’oggi la più completa disamina, sia analitica che esistenziale, sulla condizione clinica di chi soffre di emicrania. Nel corso della sua prestigiosa carriera, Sacks si è occupato spesso e in varie forme di alterazioni della percezione, scherzi alla logica e al significato prodotti dalla mente, patologie neurologiche rare e di allucinazioni. Anche in questo saggio – oltre ai capitoli dedicati alle molteplici forme e caratteristiche dell’emicrania – si analizzano vari casi clinici, accompagnati anche da alcune rappresentazioni delle visioni causate dall’insorgenza dell’emicrania. I più comuni fosfeni, possono in certi casi trasformarsi in vere e proprie visioni, dette anche fortificazioni, che presentano caratteristiche dai tratti comuni: brillantezza, forme geometriche dai contorni a zig-zag, figure concentriche, stelline, spirali, tunnel. Molto spesso queste rappresentazioni invadono solo metà del campo visivo.

Probabilmente il caso più famoso di arte visiva concretamente influenzata dalle allucinazioni emicraniche è quella di Giorgio de Chirico, come raccontato nel saggio L’aura di Giorgio de Chirico (Mimesis) di Ubaldo Nicola e Klaus Podoll. De Chirico era affetto, seppur in maniera sostanzialmente inconsapevole, da una particolare forma di emicrania: la cosiddetta Sindrome di Todd, o anche Sindrome di Alice nel Paese delle Meraviglie, poiché anche Lewis Carroll ne era affetto e a sua volta influenzato. D’altra parte, come è facile immaginare, sono molti gli esponenti di prestigio che figurano nello sconfinato popolo degli emicranici. Charles Darwin, Emily Dickinson, Sigmund Freud, Fryderyk Chopin, Virginia Woolf, Fëdor Dostoevskij, Giacomo Leopardi, sono tra quelli più autorevoli, sebbene, purtroppo per gli emicranici, non è stato riscontrato nessun legame tra emicrania e un elevato quoziente intellettivo o una spiccata genialità. Sarebbe stata una magra consolazione, del resto. Al contrario, ci sono buone ragioni per contare nella maggior parte dei casi, dosi elevate di nevrosi, ansia e stress, oltreché una alta probabilità di essere un soggetto depresso.

Si stimano costi annuali pari a 95 miliardi per cause dirette o indirette legate alla cefalea, di cui il 93% relativi alle perdite dovute all’improduttività. Solo in Gran Bretagna l’emicrania fa saltare circa 25 milioni di giorni di lavoro o di scuola all’anno.

Un attacco di emicrania ha una durata variabile. Può esaurirsi nel giro di qualche ora o perdurare fino a due o tre giorni – ma ci sono testimonianze di attacchi durati molto più a lungo –, tuttavia l’aspetto più invalidante è la ricorrenza: generalmente l’emicrania è una patologia cronica e si presenta con una frequenza che va da 1 o 2 volte al mese, fino a 20 o 25 volte al mese nella sua forma più debilitante. Praticamente dolore senza soluzione di continuità, un inferno senza tregua.

L’8 luglio 2020, è stata approvata in via definitiva una legge che convalida la cefalea cronica come una malattia sociale, ovvero una malattia che riguarda un notevole numero di individui e che ha una ricaduta rilevante sulla società. L’Italia è il primo paese in Europa a promuovere un’iniziativa di questa portata, che equipara di fatto l’emicrania cronica a malattie che, almeno nell’immaginario comune, sono considerate più gravi, come il morbo di Parkinson, l’Alzheimer, la Sclerosi Multipla, per esempio.

Non è una certificazione di poco conto, perché ne conferma e avvalora lo status di malattia invalidante e apre ulteriori possibilità, per chi ne è affetto e ha una diagnosi medica che ne sancisce la gravità, di ottenere assistenza sanitaria prolungata, esenzioni fiscali e permessi sul lavoro.

Oltre a tutto questo, l’aspetto forse più importante a cui contribuisce questa legge, è quello di conferire dignità e rilevanza a chi soffre di emicrania, il cui più grande terrore è quello di non essere compresi nel proprio tormento, un’angoscia seconda solo al terrore costante di subire un attacco improvviso. Chi soffre di emicrania, per quanti sforzi faccia, non è in grado di prevedere quando insorgerà il dolore e quindi fa parecchia fatica a pianificare qualsiasi aspetto della propria vita, a breve o a lungo termine, senza fare i conti con il fatto che un bel giorno come un altro, potrebbe ritrovarsi costretto a letto, con il senso di colpa di dover disdire qualunque impegno senza preavviso e il timore di sentirsi dire che si tratta solo di un banale mal di testa, di prendere un’aspirina e una boccata d’aria per rimettersi al meglio.

Circa il 2% della popolazione mondiale soffre di varie forme di emicrania cronica. Negli Stati Uniti quasi 40 milioni di persone manifestano dei sintomi di intensità rilevante, in Italia se ne contano oltre 6 milioni. L’emicrania incide con particolare violenza su due aspetti della vita quotidiana delle persone: la sfera sociale e quella lavorativa. Tutte le statistiche in tal senso mostrano che la maggior parte delle persone che soffre di emicrania, è impossibilitata a svolgere qualsiasi attività durante un attacco. Ciononostante rimane una patologia che molto spesso viene diagnosticata male e curata peggio, molto spesso i pazienti si curano da soli, impiegano anni prima di consultare un medico o abbandonano la terapia entro un anno per scarsità di risultati. In generale, è solo una minoranza a considerare l’emicrania una malattia in piena regola.

È stato calcolato che solo in Gran Bretagna l’emicrania faccia saltare circa 25 milioni di giorni di lavoro o di scuola all’anno, in generale la media è di 7 giorni di lavoro all’anno, con picchi che arrivano a 46 giorni di assenza all’anno per i casi più gravi.

Considerata la vastità e la diffusione del problema, è evidente che ci sia molta strada da fare in termini di assistenza e supporto. Le statistiche mostrano un quadro drammatico se si pensa che il 72% delle persone affette da emicrania dichiara che la propria vita lavorativa è fortemente influenzata dall’emicrania, il 24% si sente giudicato e minacciato per i giorni di malattia, l’11% ha cambiato lavoro per via dell’emicrania e il 10% il lavoro l’ha proprio perso. Almeno la metà delle persone che soffrono di emicrania denunciano ritorsioni da parte dei propri datori di lavoro, ed è per questo che spesso si tende a mentire e a nascondere la propria condizione.

Anche per questo si stanno moltiplicano i gruppi di supporto, associazioni specializzate, siti web per informarsi e sensibilizzare, ma anche per ottenere assistenza legale. Anche sui social si trovano parecchie iniziative, gli hashtag #migraine, #migraineawareness o #migrainewarrior sfondano il tetto delle centinaia di migliaia di post.

Un attacco di emicrania può esaurirsi nel giro di qualche ora o perdurare fino a due o tre giorni. Tuttavia l’aspetto più invalidante è la ricorrenza: generalmente l’emicrania è una patologia cronica e si presenta con una frequenza che va da 1 o 2 volte al mese, fino a 20 o 25 volte al mese nella sua forma più debilitante.

Diversi studi dimostrano che una delle principali azioni per minimizzare i disagi sul lavoro, per chi è affetto da emicrania, sia l’orario flessibile e l’alternanza con il lavoro da casa, che consente al dipendente di gestire al meglio il proprio tempo e auto-regolarsi in base agli apici di malessere, al contrario del lavoro a turni, in particolare quelli notturni e con orari sballati. Non è mai troppo scontato ricordare che la tensione e lo stress, giochino un ruolo primario in tutta questa faccenda, così come i ritmi forsennati, l’iper-produttività, la competizione feroce. Anche la postazione di lavoro ha parecchia importanza, per chi svolge un lavoro d’ufficio: dalla sedia, alla postura, allo schermo del computer, fino all’illuminazione e al getto dell’aria condizionata, tutti fattori che possono scatenare un attacco. Molte aziende all’avanguardia cominciano a prevedere delle “quiet room nei propri uffici, nelle quali i dipendenti (non solo gli emicranici, ovviamente) possono concedersi dei momenti di quiete e lavorare in condizioni meno frenetiche. Durante la Desing Week 2019, è stato presentato il progetto Reimagine Medicine: re-DESIGN Migraine realizzato dalla casa farmaceutica Novartis. L’esposizione consisteva in un ambiente che è stato rinominato “Migraine relief room” e oltre a porre l’accento sul design necessario per costruire un ambiente confortevole e anti-emicrania in un ambiente lavorativo, ha avuto anche l’obiettivo di arricchire il discorso sul welfare, sullo stato dell’innovazione e sulle tutele che richiede chi soffre di emicrania invalidante.

«Sembra che, in pazienti predisposti, una qualsiasi condizione climatica estrema possa scatenare un attacco di emicrania, o esserne ritenuta responsabile» si legge in Emicrania di Sacks. È praticamente appurato che variazioni delle condizioni atmosferiche, come alta pressione, cicloni, tempeste o vento, aumentino la frequenza delle emicranie, andando per logica, dunque, ci sarebbero buone ragioni per pensare che i cambiamenti climatici e l’aumento di eventi atmosferici estremi causati dall’antropocene, comportino un aumento delle emicranie. Invece, uno dei legami mai dimostrati tra le cause scatenanti l’emicrania, è quello con la luna piena e con le fasi lunari in generale. Eppure, se chiedete a qualsiasi malato cronico se ci ha fatto almeno una volta un pensierino o se ha mai cercato su internet qualche articolo new age al riguardo, è molto probabilmente che vi risponderà di sì.

Dopotutto ci si appella a qualsiasi cosa per tentare di giustificare e spiegare un male così insopportabile e ignoto, per questo una delle attività più frequenti tra chi soffre di emicrania è il monitoraggio. Che sia un taccuino o un’app sullo smartphone, è un uso frequente tentare di tener conto di ogni minima attività da associare all’esplosione del dolore. Purtroppo, non sempre si ottengono i risultati sperati, a volte, addirittura, se ne ottengono addirittura di opposti: benvenuto effetto nocebo, ovvero l’opposto del più famoso placebo.

La corsa al farmaco più efficace per la cura e la prevenzione dell’emicrania, equivale a una vera e propria corsa all’oro. Come abbiamo detto, si stanno facendo dei piccoli progressi: giusto un paio di anni fa è stato sintetizzato il primo farmaco specifico per prevenire l’emicrania e i risultati fanno ben sperare, anche se è solo un inizio. Ci sono molte aspettative anche per i risultati a cui potrebbe portare il connubio tra farmacia e tecnologia digitale, sebbene per il momento si siano sperimentate solo terapie lenitive, come questa app che utilizza le tecniche di rilassamento muscolare progressivo per ridurre la frequenza dell’emicrania, o questo cerotto elettrico per ridurre il dolore. La ricerca va avanti anche per quel che riguarda l’utilizzo di marijuana o micro-dosi di LSD, che tra varie difficoltà e pregiudizi, si sta mostrando molto promettente anche per la cura della depressione. Insomma, qualsiasi cosa, pur di dare pace alle tantissime persone che per ora brancolano nel buio, fintantoché la morsa non decide di scomparire da sola. Una delle sensazioni più belle che si possano provare, un sollievo difficile da descrivere e per cui è necessario scomodare nuovamente Joan Didion.

«Quando il dolore si ritira, con lui se ne va tutto il resto, ogni rancore celato, ogni ansia vana. C’è una piacevole euforia da convalescenza. Apro le finestre e sento l’aria, mangio con riconoscenza, dormo bene. Noto la singolare natura di un fiore dentro un bicchiere sul pianerottolo delle scale. Mi sento molto fortunata».

di

Si occupa di comunicazione, musica e attualità. I suoi articoli sono stati pubblicati su Rolling Stone, Esquire, VICE Italia, Wired, Rivista Studio, Dude Mag.

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