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come parlare di periferie

Come parlare di periferia11 min read

Come parlare di periferia

Un sito archeologico ai margini della città diventa un’occasione per imparare a raccontare il territorio senza retoriche

di Siamomine

«Siamo stufi di essere chiamati ‘periferia’», così ci dice Fabio Silei, insegnante di inglese e coordinatore del FabLab dell’Istituto Comprensivo Elisa Scala a Borghesiana, mentre ci parla del quartiere. Non è una questione geografica (Borghesiana è oggettivamente lontana dal centro), ma di narrazione e comprensione del territorio. Periferia è una parola particolarmente abusata nel contesto mediatico, spesso utilizzata in modo negativo e riduttivo per etichettare una realtà che non si conosce o non si vuole conoscere.
È una parola che nasconde la complessità e la diversità dei luoghi e delle persone che vi abitano e che non rende giustizia alle esperienze e alle storie che contraddistinguono ogni realtà territoriale fuori dal centro.

Borghesiana è una di queste realtà e, come spiega Fabio, non è semplicemente una “periferia”, ma un’area urbana complessa e sfaccettata, dove si cerca di controbattere alle retoriche del “degrado” e della “riqualificazione” con progetti partecipati, in cui i significati territoriali vengono discussi e rimaneggiati direttamente da chi ci vive.
Osservatorio Gabii è uno di questi progetti, un percorso di raccolta fondi organizzato dal nostro team di Mine Studio in collaborazione con il FabLab e la Soprintendenza Speciale Archeologia, Belle Arti e Paesaggio di Roma, per restituire al quartiere un sito archeologico che giace da secoli sullo stesso terreno dove è sorto il centro abitato.
Si tratta dell’area archeologica che ospita di resti di Gabii, città appartenente all’età repubblicana. Gabii era nota come una “piccola Atene nel Lazio”, un luogo di fiorente cultura, dove – secondo Plutarco – avrebbero studiato Romolo e Remo e di cui oggi resta soltanto una parte della sua edificazione originaria, immersa nello spazio di verde incontaminato che fiancheggia la Borghesiana

come parlare di periferie

Anche i siti archeologici, proprio come le periferie, talvolta rischiano di essere soggetti a retoriche dannose e alienanti. Sono luoghi spesso descritti come intoccabili, solenni e imponenti, che invece di comunicare un senso di connessione con la storia, spesso producono distanza e diffidenza, seguendo narrazioni che, seppur opposte a quelle degli spazi marginali, finiscono per produrre lo stesso effetto: l’isolamento.

Cosa succede allora quando è proprio la “periferia” a raccontare il suo monumento archeologico? A cosa può servire un sito storico come Gabii a un quartiere moderno e in espansione come Borghesiana?

Può la creatività diventare uno strumento per superare queste retoriche e costruire una narrazione diversa?

A queste domande, che fanno da punto di partenza della nostra raccolta fondi, ne abbiamo aggiunta un’altra, legata alla natura del nostro lavoro e allo spirito che ci guida quotidianamente, sia a livello professionale che umano: può la creatività diventare uno strumento per superare queste retoriche e costruire una narrazione diversa?
La risposta, aperta a sfaccettata, non viene da noi, ma dagli studenti e dalle studentesse dell’Istituto Comprensivo Elisa Scala, che ogni giorno osservano Gabii direttamente dalle finestre delle loro aule. Con loro, grazie al lavoro di Fabio e dei suoi colleghi con il FabLab, abbiamo costruito un workshop dedicato alla restituzione di un racconto visivo e testuale di Gabii e del quartiere, prodotto con lo sguardo e i pensieri di chi quel paesaggio lo vive ogni giorno.

Abbiamo scoperto che basta poco per far sparire la parola periferia: al posto dei concetti vuoti del racconto mediatico, si parla invece di uno spazio verde da esplorare, di un luogo misterioso, di un sito che si vorrebbe aperto a tutti. Un ragazzo racconta di andarci spesso in bicicletta, partendo da casa e cercando ogni volta un percorso diverso per raggiungerlo: «Certo se ogni tanto fosse aperto sarebbe più divertente». Un monumento storico ha più valore se la sua finalità è la conservazione o il divertimento?

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Uno degli obiettivi del crowdfunding è proprio quello di contribuire alla possibilità di riaprire Gabii attraverso il finanziamento di opere finalizzate all’accessibilità e alla possibilità di organizzare aperture per il pubblico. Per i ragazzi e le ragazze non si tratta semplicemente di visitare un luogo storico, ma di approfondire il loro rapporto con un pezzo di territorio che sentono già loro ma che, al tempo stesso, rappresenta una presenza distante e sfuggevole. Quando abbiamo provato a dare un titolo a Gabii, andando oltre le definizioni storiche e “scolastiche”, una ragazza ha scritto: “Gabii, vicino e lontano”. Osservatorio Gabii vuole accorciare quella distanza e farlo seguendo le idee e lo sguardo di chi sogna di eliminarla.

C’è anche chi ha definito Gabii come la “madre della scuola” o chi lo ha descritto come “un puntino”, perché tutto sommato è solo un posto immerso in un territorio molto più ampio, che non si lascia definire semplicemente dalla presenza di un artefatto archeologico.
È con questa consapevolezza che, quando abbiamo lavorato alla creatività del crowdfunding, abbiamo deciso di uscire anche noi dalla retorica delle periferie – e anche da quella delle raccolte fondi – per raccontare il contesto con un respiro più ampio, contrapponendo il linguaggio del territorio a quello della beneficienza, perché ognuno ha il suo “puntino” a cui vuole bene.

Le t-shirt limited edition e le toppe da scout del progetto, infatti, raccontano sei modelli di cittadinanza attiva che ognuno, a prescindere dalla sua geolocalizzazione, può intraprendere per costruire un rapporto con il proprio territorio: City Park Dweller, di cui è uscita la prima t-shirt del progetto, racconta la voglia di trascorrere il tempo nelle aree verdi in città, Friend of the neighborhood è dedicata a chi ama sapere tutto del proprio quartiere, ma ci sono anche Urban Guru e Archeo Explorer, per scoprire storie dimenticate e siti poco noti del proprio territorio, proprio come Gabii e infine Community Champion e Radical Change-Maker che raccontano la capacità di restituire pratiche e conoscenze alla propria comunità, producendo un cambiamento positivo.

Alla fine la creatività è solo il sintomo di una curiosità inarrestabile, che vuole sporcarsi le mani e mettere in atto qualcosa, che sia un piccolo progetto o un grande lavoro.

Ognuno ha il suo modo di praticare la cittadinanza attiva, non ci sono regole. Quando abbiamo lavorato con gli studenti e le studentesse al racconto delle azioni, ognuno aveva la sua preferita, quella in cui ritrovava le proprie azioni o riponeva aspettative verso il futuro: le toppe sono in inglese perché è una lingua con cui i ragazzi e le ragazze non percepiscono una distanza, per loro non è un linguaggio “da brand”, ma un modo come un altro per giocare con le parole e inventare nuovi significati. A prescindere dalla forma di cittadinanza prediletta, tutti hanno aggiunto di sentirsi Radical Change-Maker e non perché sentono il peso di un’altra retorica, quella generazionale, che li vuole portatori di un miglioramento a cui invece dovremmo contribuire tutti, ma perché hanno semplicemente voglia di fare, di esplorare e di comprendere quel mondo che gli viene raccontato con narrazioni statiche e ingannevoli, e che sanno già non corrispondere alla realtà che vivono quotidianamente. 

Alla fine la creatività è solo il sintomo di una curiosità inarrestabile, che vuole sporcarsi le mani e mettere in atto qualcosa, che sia un piccolo progetto o un grande lavoro.
È per questo che vogliono scoprire Gabii e farlo un po’ loro, non perché è stata la scuola di Romolo e Remo, ma perché è un posto che accende la loro curiosità, che permette l’attivazione creativa di un territorio. Ed è per questo che Gabii interessa anche a noi e che nasce il nostro Osservatorio: per usare la creatività come canale per accendere l’attenzione su una storia nuova, per uscire dalla narrazione della periferia e contribuire a costruire gli strumenti per chi vive il quartiere di creare il proprio racconto. E soprattutto per restituire alla comunità la libertà di autodeterminare il proprio rapporto con i simboli del territorio, di cui Gabii è il perfetto esempio.

Lo racconta anche Fabio: «Questo antico tesoro ancora tutto da scavare ci sta accanto. Ci siamo andati a piedi l’anno scorso inventandoci un percorso mai battuto, se non dai Grand Tourists, attraverso la tenuta Pantano Borghese. Ci siamo tornati quest’anno dalla porta principale, aperta per noi dalla Soprintendenza Speciale di Roma con un protocollo d’intesa. E, grazie a Mine e al fundraising, vogliamo andarci quando ci pare. Si dice sia stata la scuola di Romolo e Remo. Grazie a chi vorrà donare, sarà anche la nostra.»


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