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E quindi qual è il futuro del lavoro?11 min read

E quindi qual è il futuro del lavoro?

Quali saranno le skills richieste dal mondo del lavoro, con l’ingresso delle intelligenze artificiali?

di Lucia Antista

La parola tedesca weltschmerz significa “dolore cosmico” e rappresenta quella sensazione di sofferenza, apprensione ma anche di apatia che proviamo nel constatare che il mondo in cui viviamo continua a deludere ancora una volta le nostre aspettative.
Il mondo del lavoro assomiglia sempre più agli Hunger games: colloqui su colloqui e prove su prove sono la prassi anche solo per accedere a una posizione. Una volta assunti “la guerra non è finita”, i percorsi interni di crescita, o i miglioramenti economici, sono piuttosto lenti e difficoltosi.
Per i lavoratori, millennial e zoomer in particolar modo, le sfide del presente e del futuro sono tutt’altro che facili.

Se il periodo storico e altre variabili, come quelle economiche e sociali, rendono il lavoro un problema, a complicare la trama arriva anche la tecnologia. I robot una volta erano considerati in grado di svolgere solo lavori non creativi e di routine, oggi scrivono articoli e creano illustrazioni e animazioni, riuscendo perfino a vincere dei concorsi. I chatbot non si limitano a riformulare le parole ma scrivono testi ex novo come tesine, claim e articoli. Al momento in termini di efficienza e precisione non sono paragonabili agli umani ma forse un giorno lo saranno. Del resto OpenAI, l’organizzazione di ricerca e sviluppo sull’intelligenza artificiale fondata da Elon Musk, ha dichiarato, riferendosi al suo ChatGTP, che più il modello di AI generativa verrà utilizzato più sarà in grado di dare risposte precise.

I progressi dell’AI non si limitano solo alle parole, DALL-E, sempre di OpenAI, trasforma i prompt di testo in immagini mentre analogamente il nuovissimo tool di Google Dreamix è in grado di generare video.
Al di là della nascita di nuovi lavori, come gli editor in grado di gestire le richieste da affidare all’intelligenza artificiale, bisognerà puntare su altre skill per rispondere al mercato.

Creatività ed empatia saranno dunque indispensabili per competere con le macchine?
Stando al report del 2020 del World Economic Forum, nel 2025, il pensiero analitico, la creatività e la flessibilità saranno le competenze più richieste mentre i lavori più ambiti avranno a che fare con i dati e l’intelligenza artificiale, con la creazione di contenuti e il cloud computing.
II quadro reale, insomma, è più sfumato: sebbene queste tecnologie elimineranno alcuni posti di lavoro, ne creeranno molti altri.

La storia ci insegna che il progresso e l’automatizzazione in larga parte migliorano le condizioni di vita e di lavoro dell’uomo ma la fase di transizione sicuramente può lasciare alcune perplessità.
Secondo una ricerca di McKinsey, l’impatto potenziale dell’automazione varia a seconda dell’occupazione e del settore. Le attività più suscettibili includono ambiti più facilmente automatizzabili dove già si conta sui macchinari. Ad esempio, la raccolta e l’elaborazione dei dati sono due categorie di attività che possono essere fatte più velocemente e precisamente con le macchine. 

Creatività ed empatia saranno indispensabili per competere con le macchine?

Anche se alcuni compiti sono automatizzati, l’occupazione può non diminuire, ma piuttosto i lavoratori possono svolgere compiti diversi.
L’automazione avrà un effetto minore sui lavori che coinvolgono la gestione delle persone, l’applicazione di competenze e le interazioni sociali, perché le macchine non sono in grado di sostituire le prestazioni umane, almeno per ora.
Alcuni tipi di lavoro – ad esempio quello dei giardinieri, degli idraulici o di chi fornisce assistenza alle persone – saranno meno soggetti al cambiamento perché sono tecnicamente difficili da automatizzare e richiedono salari relativamente più bassi, il che rende l’automazione una proposta commerciale meno attraente.
I lavoratori “sfollati” dall’automazione sono facilmente identificabili, mentre i nuovi posti di lavoro creati indirettamente dalla tecnologia sono meno visibili e distribuiti in diversi settori e aree geografiche.

L’intelligenza artificiale fa una scrematura sociale perché in posti dove si cerca ancora di distribuire l’acqua, o sono in corso conflitti bellici, il problema dei robot non sussiste. Il 2023 è stato già definito l’anno dell’intelligenza artificiale creando un certo hype.
Molti programmi che sfruttano l’AI sono stati messi alla prova dagli umani: un certo Mark ha chiesto a un’intelligenza artificiale di creare una canzone nello stile di Nick Cave sentendosi poi in dovere di inviarla all’artista australiano.
La risposta del cantante nella sua newsletter Red Hand Files On Monday, non volendo, conferma le stime sul futuro della creatività:

«ChatGTP potrebbe forse col tempo creare una canzone apparentemente indistinguibile dall’originale, ma sarà sempre e comunque una replica, una sorta di burlesque. Le canzoni nascono dal dolore, sono basate sulla complessa lotta umana della creazione e, per quanto ne so io, gli algoritmi non hanno sentimenti. I dati non soffrono. (…) Ciò che rende grande una grande canzone non è la sua stretta somiglianza con un’opera riconoscibile. Scrivere una canzone non è mimetismo, o replica, o pastiche, è il contrario. È un atto di auto omicidio che distrugge tutto ciò che si è cercato di produrre in passato».

Malgrado dunque l’esprit artistico di certi robot si prevede che i “creativi” saranno più richiesti. Gli artisti e gli intrattenitori beneficeranno infatti dell’aumento dei redditi in grado di creare una maggiore domanda di tempo libero. Il lavoro come lo conosciamo oggi cambierà nella maggior parte dei casi ma c’è di più.
Secondo l’Institute for the Future, circa l’85% dei lavori che gli studenti attuali svolgeranno nel 2030 non esistono ancora. Questo è dovuto alla presenza sempre più pervasiva di tecnologie avanzate come cloud, big data, dispositivi mobili, social network, IOT e cognitive computing, che stanno rivoluzionando costantemente il mondo del lavoro e modificando radicalmente le competenze acquisite dagli studenti nel tradizionale percorso scolastico.

La storia ci insegna che il progresso e l’automatizzazione in larga parte migliorano le condizioni di vita e di lavoro dell’uomo ma la fase di transizione sicuramente può lasciare alcune perplessità

I cambiamenti che verranno nei prossimi nei prossimi anni sembrano usciti da un romanzo di Philip K. Dick ma in realtà si sta già lavorando per attuarli, basta pensare al progetto relativo ai taxi volanti, già dal prossimo anno cominceranno i lavori in alcune città tra cui Milano.
Restando in tema “macchine intelligenti” in moltissime città americane, come Los Angeles, le consegne vengono fatte dai robot. Camminano sui marciapiedi con una bandierina svolazzante e sono in grado di evitare gli ostacoli per completare la loro missione: consegnare un pacco o del cibo da asporto. Quando la pandemia ci ha costretto a reimmaginare il modo in cui lavoravamo, oltre a implementare il telelavoro, si è iniziato a parlare della settimana lavorativa di quattro giorni.

Molti stati e molte compagnie stanno adottando la settimana corta o stanno riducendo l’orario di lavoro, una scelta che potrebbe avvantaggiare la società, l’economia e anche l’ambiente riducendo l’impronta di carbonio. Questa tendenza si allinea, inoltre, con le mutevoli esigenze della forza lavoro di oggi. La gig economy ha reso più convenzionale lavorare dove e quando vuoi.  Lavoro a distanza, ibrido, flessibile, settimane lavorative di quattro giorni, giorni di cinque ore, per molti, avere queste opzioni permetterà di bilanciare lavoro e vita privata. Queste tendenze accelereranno rapidamente man mano che le aziende riconosceranno che è un modo intelligente per attrarre e trattenere i lavoratori.
Si tratta, infatti, di un tentativo per combattere la great resignation e il quiet quitting, fenomeni che negli ultimi anni hanno portato moltissime persone ad abbandonare il proprio posto di lavoro o limitarsi a non fare più del richiesto.
Come ha sottolineato Aidan Harper, coautore di The Case for a Four-Day Week, le riduzioni dell’orario di lavoro sono soluzioni tipiche dei periodi di crisi perché sono un modo per distribuire il lavoro disponibile e ridurre la disoccupazione, come successe, ad esempio, durante la Grande Depressione.

Fino a poco tempo fa si continuava a idolatrare “il capitale umano” tralasciando l’umano quando già Marx aveva chiarito che è proprio il tempo la chiave di volta della questione capitalista e dunque “l’accorciamento della giornata lavorativa” è il requisito fondamentale per la libertà.
Di fronte ai cambiamenti promossi dagli eventi sconvolgenti e dall’evoluzione della società e dei mezzi è impossibile continuare a vivere e lavorare alla stessa maniera. Il problema è che mentre il lavoro è sempre più digitale, veloce e in costante evoluzione per gran parte di lavoratori si presentano ancora gli stessi problemi per quanto riguarda orari, contratti, salari e dignità. È necessario, quindi, ripensare il ruolo del lavoro per raccogliere i cambiamenti esistenziali e tecnologici e garantire un futuro ai lavoratori.


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Giornalista pubblicista, scrive di cultura, arte e attualità per diverse testate, tra cui Artribune e Artslife. Come autrice televisiva ha lavorato per i programmi di La7 e del gruppo Class editori.

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