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Genealogia dei filtri facciali13 min read

Genealogia dei filtri facciali

Breve storia dei filtri facciali sulle piattaforme social e dei processi decisionali e tecnologici che li hanno resi sempre più centrali nell’esperienza degli utenti online.

di Gaia Giorgi

In principio erano le orecchie da cane. Le vedevi dappertutto, le trovavi buffe – se ai tempi frequentavi ancora il liceo, come la sottoscritta – le consideravi un gioco più che uno strumento. Non rappresentava un nuovo modo di vedere sé stessi attraverso lo specchio. Dopodiché sono arrivati filtri con coroncine di fiori che levigavano così tanto la pelle da renderla più simile ai materiali derivati dalla cera che un reticolo di fibre. 

I filtri sono stati introdotti per la prima volta dall’applicazione decaduta Snapchat, il cui unico aspetto rivoluzionario risiedeva nella temporaneità dei contenuti (una sorta di BeReal, una decina d’anni fa). Potremmo pensare a Snapchat come colei che ha dato l’avvio alla proliferazione di filtri facciali. Nel 2015 quest’ultima ha acquisito una start-up ucraina, Looksery, specializzata nella modifica del proprio volto in tempo reale: piccoli ritocchi come rendere la pelle più omogenea, più scolpita, eliminare le occhiaie e le rughe. L’acquisizione di Looksery da parte di Snapchat per la cifra di ben 150 milioni la rende la più sostanziosa mai avvenuta in ambito tecnologico in Ucraina. L’implementazione di filtri facciali in realtà aumentata (AR) ha permesso così la creazione di 3000 filtri utilizzabili dagli utenti di Snapchat. 

Successivamente, due anni più tardi, nel dicembre 2017 l’azienda decide di lanciare Lens Studio, un software gratuito da scaricare sul desktop, così da permettere a creator, grafici o semplici amanti dei filtri, di provare a realizzarli e pubblicarli sulla piattaforma. Una sorta di photobooth giapponese sempre a portata di mano: i Purikura. Infatti, questi luoghi dediti alla fotografia non assomigliano alle cabine in bianco e nero che possiamo trovare in città come Firenze o Berlino. 

In modo automatico, i filtri vengono aggiunti alle fotografie scattate: gambe allungate a proporzioni a dir poco irrealistiche, palpebre doppie e occhi grandi, ciglia lunghe e carnagione sbiancata. Maxine Builder in un articolo su Bustle descrive la sua esperienza a dir poco straniante, raccontando di come l’aggiunta del ritocco non era qualcosa espressamente richiesto da lei e il suo ragazzo nel momento della modifica degli scatti. «Non abbiamo cliccato nulla, non abbiamo scelto un’opzione che espressamente aggiungesse filtri, rendendo le nostre gambe più lunghe e gli occhi più larghi» scrive, evidenziando come l’idealizzazione sia standard, meccanica. Questo è l’aspetto più sconcertante dell’intera esperienza nei Purikura. Le immagini vengono intenzionalmente adattate al modello di bellezza della donna giapponese ideale: occhi grandi, fisico snello, pelle luminosa e pallida. Ciò che accomuna Purikura e filtri facciali è l’intenzione sottostante, il pensiero di dover incessantemente aggiustarsi, defomarsi, per giungere ad uno standard che non esiste per nessuno, vuoto. Infatti, se i Purikura aggiungono strati artificiali laddove l’individuo fotografato non ne è cosciente, i filtri facciali sono sempre intenzionali. 

Se i filtri detenuti e pubblicati dalle piattaforme sono sempre vagamente ironici al limite del banale – filtri che ingrossano gli occhi a dismisura, filtri che creano un piccolo esercito di chi si pone davanti alla fotocamera – l’ingresso dei creators ha permesso alla creatività di propagarsi nella creazione di nuove maschere.

Dopo aver implementato l’esperienza dell’utente tramite l’aggiunta di storie condivisibili ai propri contatti, Facebook annuncia l’introduzione dei filtri facciali il 16 maggio 2017: nel comunicato stampa si descrivono i filtri come lo strumento attraverso cui semplici selfie possono diventare buffi e divertenti.

Nello stesso anno, anche Instagram, piattaforma social dedita alla condivisione di immagini, aggiunge i filtri alle proprie storie – non c’è da stupirsene che una abbia seguito la traiettoria dell’altra, Instagram è stata acquistata nel 2012 da Facebook per 1 miliardo di dollari. Nel maggio 2018 a San José, in California, i principali sviluppatori dell’azienda di Zuckerberg sono radunati nell’annuale conferenza di due giorni, la F8, in cui annunciano le novità tecnologiche delle varie piattaforme (Facebook, Instagram, Whatsapp). Una delle novità è l’introduzione di una versione beta di un software per creare filtri in realtà aumentata: verrà reso pubblico solamente un anno più tardi, nell’agosto 2019. Prima di tale data, gli utenti di Instagram potevano utilizzare Spark AR solo tramite invito: ciò ovviamente implicava l’inclusione e conseguente esclusione nella progettazione e pubblicazione di filtri AR personalizzati.

Chiunque può costruire filtri AR personalizzati utilizzando la piattaforma Spark AR Studio. Questo software consente agli utenti di creare effetti originali in realtà aumentata per le stories di Instagram e Facebook. Da quel momento in poi, chiunque scarichi Spark AR Studio può costruire filtri a proprio piacimento e renderli disponibili agli altri utenti. Se i filtri detenuti e pubblicati dalle piattaforme sono sempre vagamente ironici al limite del banale – filtri che ingrossano gli occhi a dismisura, filtri che creano un piccolo esercito di chi si pone davanti alla fotocamera – l’ingresso dei creators ha permesso alla creatività di propagarsi nella costruzione delle maschere.

Sono quindi nati filtri dal design futuristico in cui maschere fosforescenti e metalliche e patine lucide e brillanti avvolgono il viso rendendolo sempre più misterioso e vagamente inquietante. Creators come Joanna Jaskowska, l’artista Ines Alpha (ha creato per il quarto diciannovesimo compleanno di Lil Miquela un filtro floreale appositamente per lei), Allan Berger e Nahir Esper sono propensi a pensare ai filtri e alle creazioni virtuali come ad una estensione virtuali di ornamenti impossibili da realizzare nella vita reale, una sovrapposizione digitale nel mondo reale.

La nuova frontiera dell’arte DIY, do-it-yourself, risiede negli effetti dove la pelle diventa liquida e gli occhi sono privi di iride: il software Spark AR ha permesso a chiunque interessato di cimentarsi nella creazione di qualcosa di nuovo: il filtro Digital Skin dove il corpo viene ricoperto da una patina metallizzata, HydraBeauty in cui il volto appare ancorato ad una sostanza gelatinosa e lucente, Conscious Mercury, dove troviamo degli elementi inorganici che fluttuano sul volto e diventano coscienti con il movimento. I creator menzionati vedono i filtri più come accessori che come vani tentativi di miglioramento simili ad interventi sul volto: l’artista visuale Howie Kim per la costruzione dei suoi filtri utilizza uno strumento che distorce il viso in maniera così innaturale da farla sembrare simile ad un insetto.

Perché prendere di mira i creatori di filtri quando la maggior parte degli influencer si sono sottoposti ad interventi di chirurgia plastica? Se l’arte imita la vita, i filtri facciali in realtà aumentata diventano virali proprio perché costruzione del mondo in cui viviamo.

Successivamente, il 19 Ottobre 2019 Spark AR avverte i creators che rimuoverà tutti i filtri che sembrano suggerire l’intervento di chirurgia plastica – al tempo i filtri più famosi presi in esame furono Fix me (il creator Daniel Mooney per pubblicizzare il lancio del filtro scrisse: “Come live your plastic surgery fantasy”), il filtro vedette++ (creato da Florencia Solari, in cui porzioni del viso ricreano una sorta di deturpamento post chirurgia estetica ma con elementi neon) e Plastica (creato da Teresa Fogolari, usato oltre 200 milioni di volte; le labbra e gli occhi dell’utente che lo utilizzava venivano gonfiati fino all’inverosimile, il naso ridotto, in modo da mostrare l’aspetto dopo un intervento estetico).

L’autrice di quest’ultimo filtro dice di essersi ispirata alle celebrità della tv italiana e dai loro interventi chirurgici mal riusciti: «Il mio intento originale con Plastica era di creare un look ancora più esagerato, ma il software AR di Instagram non l’ha supportato (…) quindi ho dovuto ridimensionare tutto. È stata una benedizione sotto mentite spoglie, perché ha fatto sì che il filtro passasse da un aspetto al limite del raccapricciante a qualcosa di più accessibile al gusto comune, e infine popolare» racconta in un’intervista. La creatrice di vedette++, Florencia Solari, ha scritto un articolo su Medium lo stesso giorno in cui è stato annunciato il ban dei filtri per esprimere la sua opinione a riguardo, definendola un attacco alla libertà. Perché prendere di mira i creatori di filtri, si chiede, quando la maggior parte degli influencer si sono sottoposti ad interventi di chirurgia plastica? Se l’arte imita la vita, i filtri facciali in realtà aumentata – e in questo caso un filtro caratterizzato da una massiccia deformazione dei tratti facciali – diventano virali proprio perché costruzione del mondo in cui viviamo. A suo parere, non si è mai trattato unicamente di filtri: 

«Hanno detto che vogliono un’esperienza “positiva” e “sana”. È lecito sospettare che lo facciano per demagogia e per “pararsi il culo”, perché Facebook è stato al centro di enormi polemiche negli ultimi anni.  Ma naturalmente la loro tesi è che a loro interessi. [Coloro che lavorano da Facebook] si occupano delle persone con scarsa autostima che vanno a farsi operare perché odiano il loro viso e hanno visto come appaiono instagrammabili con il filtro. Si preoccupano della salute mentale (…) siete stati voi a costruire questo mostro. Non si è mai trattato di filtri. Non cercate di infamare e bandire i creatori ora. Ho creato un filtro per la deformazione del viso ed è diventato virale, organicamente. Non ho avuto alcuna esposizione originale e non l’ho pubblicizzato nemmeno una volta. È diventato virale perché questo è il mondo in cui viviamo. È la cultura mondiale di oggi. Non abbiamo introdotto nulla di nuovo. Altri filtri non diventano virali perché non hanno a che fare con la cultura. L’arte imita la vita, giusto? E vietare i filtri non è una soluzione al problema. (…) A me sembra un po’ una dittatura dell’ideologia. E va bene così. È la vostra piattaforma. Potete farlo. Noi continueremo ad andarcene. Migrare in un altro spazio virtuale dove possiamo ridere insieme e tollerarci a vicenda sotto la politica della libertà di parola, e capire che la DIVERSITÀ è naturale. Diversità di sessualità, di capacità, di colore, di pensiero, di parola, di corpi, di volti.»

Dopo lo scontento generale da parte degli utenti e la conseguente ricerca di stratagemmi per riuscire a rintracciarli e utilizzarli, il 20 giugno 2020 Facebook reintegra i filtri facciali dai tratti deformanti all’interno delle piattaforme. L’azienda non ha mai divulgato dati a riguardo, ma il Wall Street Journal ha riportato delle informazioni contenute in delle slide realizzate da ricercatori di Facebook per una presentazione, nel marzo 2020. I ricercatori avevano scoperto come il 32% delle ragazze adolescenti ammettevano di sentirsi ulteriormente a disagio con il proprio corpo confrontandoli con quelli visti su Instagram; l’azienda, d’altro canto, era a conoscenza di tali problematiche, poiché un’altra slide informava di come “Peggioriamo i problemi di immagine corporea di una ragazza adolescente su tre”, e un’altra ancora “I paragoni su Instagram possono cambiare il modo in cui le giovani donne vedono e descrivono se stesse”.

Al momento mi vengono tre fatti in mente: un tweet ironico (“I love when I post a selfie with an Instagram filter that completely distorts my face and three guys immediately reply: beautiful”); una ragazza che inneggia alla body positivity senza mai farsi vedere senza filtri nelle storie di Instagram dove parla ai suoi followers; quando una persona mesi fa mi ha detto, parlando di una donna vista per la prima volta dal vivo, che sembrava così bella da avere dei filtri addosso.


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Vive a Bologna dove ha studiato Arti Visive per poi dedicarsi alla Semiotica. A breve inizierà uno stage a Berlino in un’agenzia di comunicazione.

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